«Saggi gnostici» di Jon Fosse, Cue Press 2018, recensione di Angela Forti (Teatro e Critica)

Angela Forti, «Teatro e Critica», ottobre 2023

Dichiarazioni, asserzioni lampo si intrecciano a brevissimi cenni autobiografici, considerazioni definitive, senza intermediazione.

Nei “Saggi Gnostici” Jon Fosse si muove sui temi della poesia, della letteratura, dell’arte quasi senza rispetto, con una prosa informale e schietta, brutale. Nella raccolta di scritti redatti tra il 1990 e il 2000 e curata da Franco Perrelli per Cue Press la parola teatro compare pochissimo. Circa 80 volte, togliendo titoli e note, di cui 30 soltanto nell’introduzione di Perrelli.

Nella vita di Fosse il teatro interviene in maniera molto più concreta, quasi rubando l’autore alla letteratura e alla narrativa, ma molto tardi. Per caso, o meglio, per economia. Fosse detesta il teatro, e sostiene che non farà mai il drammaturgo, non perché non si senta in grado di scrivere un dramma, questo non l’ha mai turbato, bensì per una forma di protesta nei confronti del teatro.

Con tutta la schiettezza della sua prosa dichiara che è stato l’esclusivo bisogno di soldi a portarlo ad accettare la commissione del suo primo dramma. Un primo dramma, che “grazie a Dio”, ha funzionato, e che ha sorpreso lo scrittore nel piacere di scrivere le didascalie e i dialoghi in quello spazio e tempo limitato, minimalista. «È soprattutto l’essere umano», scrive Fosse, «che il teatro cerca, cerca e manca, di trasformare in arte».

E forse qui qualcosa di religioso, di mistico, avviene: come dicono in Ungheria, c’è un momento, nel teatro quando il teatro funziona, in cui “un angelo attraversa la scena”. Un istante di comprensione emozionale collettiva, di armonia totale, nel quale il teatro è capace di possedere “il più intimo, grande e indicibile segreto”. Un momento soltanto, che porta lo scrittore, lo “spregiatore del teatro” ad abbandonare, almeno per un po’, la narrativa, e dedicarsi alla drammaturgia. Un uomo pratico, uno scrittore pratico, che si sforza di scrivere nel limbo tra tragedia e commedia, tra lacrime e risa, sapendo che un drammaturgo non può mai barare e che può solamente tentare tutto quello che può perché un angelo possa, per un solo istante, attraversare la scena.