«La danza e l’agit-prop. I teatri non-teatrali nella cultura tedesca del primo novecento» (Theatron 2.0)

Barbara Berardi, «Theatron 2.0», 10 ottobre 2023

I primi decenni del Novecento hanno visto nascere il desiderio, da parte dei cosiddetti padri fondatori del teatro e della danza, di attuare una vera e propria «riteatralizzazione» attraverso rivoluzioni stilistiche e sperimentazioni nel campo dell’arte scenica.

Nel libro intitolato La danza e l’agitprop: I teatri non-teatrali nella cultura tedesca del primo Novecento, pubblicato da Cue Press nel 2015, Eugenia Casini Ropa si sofferma sulla rivoluzione culturale avvenuta in quegli anni in Germania.
Studiosa del teatro e della danza del Novecento, ha pubblicato numerosi saggi e volumi di stampo socio-politico sul teatro tedesco e sulla storia della danza moderna e contemporanea.
Inoltre, è curatrice della collana editoriale I libri dell’Icosaedro e delle riviste Teatro e Storia e Danza e Ricerca.

Casini Ropa sceglie come soggetti privilegiati di indagine due fenomeni – «i teatri non-teatrali» – che in quegli anni rivelarono in modo più radicale le proprie esigenze di rifondazione.
La «nuova danza» tedesca, nata dalla rivalutazione pedagogica del corpo umano basata sul rapporto di interdipendenza e simultaneità tra anima, corpo, disciplina e natura; e l’agitprop, teatro rivoluzionario operaio di agitazione e propaganda nato dall’ideologia socialista.

Dopo un contesto artistico iniziale, lo studio continua concentrandosi su come le realtà e gli artisti che si dedicarono alla scoperta e allo studio della pedagogia, del rito, dello sport, della religione, dell’associazionismo e della politica contribuirono a scardinare gli antichi schemi del linguaggio artistico per creare un nuovo teatro del movimento espressivo.

Il volume si apre esaminando un concetto alla base del cambiamento di pensiero di quegli anni: la «körperseele» (fusione perfetta tra anima e corpo).
Questa visione innovativa portò diversi studiosi a rivoluzionare il lavoro con il corpo degli attori e dei danzatori, trasformandolo in una ricerca di una nuova armonia non solo fisica, ma anche morale e spirituale.
Tra i protagonisti citati, ci sono pionieri di questa nuova era per la «körperkultur» (cultura fisica), tra cui François Delsarte, Madeleine G. e Mary Wigman, tra le più innovative danzatrici della loro generazione, e il confronto tra la ginnastica euritmica di Émile Jaques-Dalcroze e il metodo di Rudolf von Laban, considerato il padre della danza libera, narrato in seguito all’esperienza della scuola-colonia di Monte Verità.

La seconda parte si concentra sul teatro proletario in Germania, esaminando i suoi sviluppi tra gli anni Venti e Trenta e il conseguente rafforzamento di un sentimento collettivo di consapevolezza e lotta di classe.
L’agit-prop, nato dalla collaborazione tra attori-operai e scrittori rivoluzionari, metteva in scena rappresentazioni con un forte contenuto ideologico e propagandistico, finalizzate a risvegliare una nuova e consapevole coscienza di classe tra il proletariato.

Erwin Piscator, Béla Balázas, Friedrich Wolf e altri intellettuali engagés si fecero portavoce di un allontanamento drastico dalla forma, dai temi e dal naturalismo del teatro borghese, per dare vita a una nuova tipologia di «teatro-comunicazione».

Alla conclusione dei vari contesti storici indagati, segue un ultimo capitolo dedicato alle testimonianze iconografiche.
Eugenia Casini Ropa conclude il volume con una ricca raccolta di immagini: danzatrici con tuniche in pose che richiamano i fregi e le statue dell’antica Grecia, allievi della scuola labaniana, esempi di esercizi di ritmica nell’Istituto di Hellerau di Dalcroze (fotografie che mostrano il lavoro di ristrutturazione effettuato in collaborazione con Adolphe Appia), e foto dei gruppi agitprop, ritratti espliciti dello spirito di lotta che li animava.
Un’enciclopedia di fotografie che facilita la comprensione degli studi rivoluzionari di quegli anni e delle peculiarità che caratterizzano le diverse tipologie di ricerca artistica.

«Che cosa resta di tutto questo e che cosa può ancora oggi, a un secolo di distanza, risuonare in qualche modo dentro il lettore? Qualcosa di attuale compare, almeno ai miei occhi, guardando più a fondo. Qualcosa allora sognato, sperato, perseguito nel pensiero e nella pratica, sperimentato in prima persona come modo di vita sia individuale sia sociale, portato con decisione alle estreme conseguenze.

E questa qualità del vissuto è già in sé un primo, forse semicosciente motivo di attrazione ai nostri giorni: la lezione esplicitata della ormai tanto difficile capacità di credere fino in fondo in un’idea – che non sia il denaro e il successo – e di tradurla in azione costante nella vita e per la vita.

Compare qualcosa, dicevo, che si sintetizzava allora in due concetti in problematica dialettica: emancipazione dell’individuo e costruzione del collettivo o del coro, a seconda delle parti in causa, e che oggi, in mutate condizioni, potremmo tradurre in: ridefinizione della persona e costituzione della comunità. […]

La danza, il teatro, l’arte in generale, si propongono ancora oggi come allora, ma con forza e voce purtroppo assai affievolita – almeno nel nostro Paese – da un clima culturale sfavorevole, come possibili, creativi strumenti di formazione personale e di relazione e aggregazione sociale. Occorre scoprire e diffondere – e in questo nuovo inizio di secolo molto già si lavora sperimentando – i modi più efficaci per fare ancora dell’arte un laboratorio sperimentale utile alla crescita delle persone e della cultura sociale.

E poiché non si può prescindere dalla storia per orientarsi al futuro, le immagini un po’ sbiadite e fuori moda di questo volume acquistano probabilmente nuova brillantezza e le storie di uomini e donne che hanno creduto e lottato fino in fondo, qualunque si sia poi rivelato l’esito delle loro lotte, possono ancora mettere in moto il pensiero e risvegliare in chi legge l’eco di una necessità di partecipazione mai del tutto sopita.»