«Terzopoulos ci aiuta a far rivivere Dyonisos, il dio che rende il teatro un’arte inimitabile», di Andrea Bisicchia (Il Giornale)

Andrea Bisicchia, «Il Giornale», 12 luglio 2023.

Il regista analizza la radice più profonda dell’attorialità. Per rinnovarla

Mentre, al Teatro Greco di Siracusa, sono andati in scena spettacoli che hanno avuto, per protagonista, l’eroe tragico: Prometeo, Medea, Ulisse, la casa editrice Cue Press, pubblica: Il ritorno di Dionysos (pagg. 76, euro 19,99) di Theodorus Terzopoulos, da intendere come ritorno all’energia del corpo, quella delle origini, quella del mito, prima ella sua strutturazione in pensiero, dovuta all’arrivo di Eschilo, Sofocle ed Euripide.

Si trattava, allora, di una energia che veniva declinata in pure e semplici azioni che, però, rispecchiavano le condizioni religiose, sociali e culturali delle origini, quando il corpo conteneva in se, tutte le forze istintualità ed energetiche. Dionysos era l’eroe del mito, ben diverso dall’eroe tragico, ed era il dio della ribellione, della danza, dell’eros inteso, non solo, come attrazione sessuale, ma come vita, ed ancora, il dio del potere, della sregolatezza.

Al contrario, l’eroe tragico, è quello che pensa, ragiona, che si oppone, che si ribella, ma che soccombe, come direbbe Emanuele Severino, al destino delle necessità. La sua sconfitta è pari a quella dell’artista, il cui compito consiste nell’andare contro ogni forma di potere, non più quello degli dei, ma quello degli uomini, quindi, di chi detiene le idee e costruisce gli ideologismi, quelli che si sono espressi attraverso il materialismo, il liberalismo economico, la globalizzazione, la tecnologia e che hanno invaso il nostro Olimpo, privo, però, di divinità.

Compito dell’artista, pertanto, non è quello di schierarsi, come avviene, puntualmente, oggi, perché, chi si schiera, perde il potere di andare contro il sistema e sente di smarrire la propria libertà. Terzopoulos rivendica, in teatro, la libertà dell’attore, la cui autenticità del teatro stesso che, proprio negli ultimi decenni, ha perso il contratto con le origini, ovvero con Dionysos, il suo tenace rappresentate, il dio che permette, all’attore, di «agire» (actor vuol dire proprio questo), di liberare la propria energia vitale ed erotica, eros inteso come vita e, quindi, la propria creatività.

Il teatro, oggi, ha bisogno di risorgere, così come risorse Dionysos, quando il suo corpo venne smembrato, come accadde ad Adone, in Siria, a Osiride, in Egitto, ad Attis, in Frigia, a Cristo in Palestina. C’è chi sostiene che il teatro, di ieri, sia morto, solo che, per rinascere, ha bisogno del suo fondatore, ovvero di Dionysos che invita, l’attore, a ricercare il copro archetipico, represso dalla consistenza del teatro contemporaneo, per liberare i propri istinti, con la capacità di reagire alle restrizioni imposte dalla quotidianità e riconquistare una fondata energia sempre, però, attraverso l’uso accurato del corpo e delle sue conseguenti azioni, da concepire come una esperienza da vivere in maniera attiva.

Terzopoulos indica all’attore il modo con cui potrà essere portatore di energia, invitandolo a coltivare la voce, la respirazione, il rapporto col tempo e col senso da dare alle cose, a raccogliere i residui nascosti dei riti dionisiaci ed, infine, gli ricorda la salvaguardia del ruolo che non può essere solo di tipo estetico, ma che dovrà essere, soprattutto, di tipo rituale, prima, ed esistenziale, dopo. Recentemente abbiamo visto, con la regia di Terzopoulos: Aspettando Godot, con Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano anche, in questo spettacolo, il regista ha voluto esemplificare il suo «metodo», costruito sul corpo, inteso come luogo in cui si consuma il nostro magico quotidiano.