Io Santo, Tu Beato

Papa Pacelli è un elegantissimo Pantalone che parla latinorum e indossa una mitria a forma di Cupola di San Pietro; Padre Pio è un Balanzone pugliese con il saio, il naso a peperone, ultras sfegatato del Foggia.

I due si incontrano nell’aldilà e, dopo i convenevoli di rito e aver rievocato brevemente alcune pagine poco edificanti della storia della Chiesa, vengono a sapere che, siccome Papa Wojtyla ha proclamato quattrocentottantadue santi e milletrecentotrentotto beati, in paradiso c’è rimasto un posto solo.

Fra loro si scatena una lotta senza esclusione di colpi.

Scritto in collaborazione con Bebo Storti.

Prefazione di Paolo Rossi.

Renato Sarti

Si forma con Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano e all’Elfo.

Nel 1985 è uno dei Commedians (regia di Gabriele Salvatores).

Nel 1991-92 Giorgio Strehler mette in scena un suo atto unico, Libero e l’anno dopo Massimo Castri è regista del suo testo Ravensbrück, con Valeria Morriconi.

Nel 1995, nella Risiera di San Sabba di Trieste, è autore e regista de La memoria dell’offesa, con Giorgio Strehler, Paolo Rossi, Moni Ovadia.

Nel 2002 fonda, nella periferia milanese di Niguarda, il Teatro della Cooperativa.

Scrive, dirige e produce molti spettacoli fra cui Mai Morti e La nave fantasma con Bebo Storti; Muri e Gorla fermata Gorla con Giulia Lazzarini; Goli Otok con Elio De Capitani, per il Teatro dell’Elfo; Matilde e il tram per San Vittore con Maddalena Crippa, spettacolo ospitato per due stagioni al Piccolo Teatro di Milano.

Per l’attività sua e del Teatro della Cooperativa ha conseguito numerosi riconoscimenti e premi: I.D.I., Vallecorsi, Riccione, l’Ambrogino d’Oro e l’Isimbardi del Comune e della Provincia di Milano, Gassman città di Lanciano, Hystrio, Henriquez, Anima e Premio Internazionale Pop Drama e una medaglia dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per lo spettacolo Nome di battaglia Lia.

Renato Sarti, giovane autore che vince premi su premi, indegnamente massacrato da una parte dell’intellighenzia teatrale milanese.

Giorgio Strehler, «Corriere della Sera», 22 agosto 1990