«Alexander Moissi la star dimenticata applaudita a Bolzano», di Fabio Zamboni (Alto Adige)

Fabio Zamboni, «Alto Adige», 14 maggio 2023

Massimo Bertoldi dedica all’attore teatrale un volume frutto di cinque anni di ricerche. «Mi sono imbattuto in Moissi scrivendo la storia del vecchio Teatro Verdi, dove si era esibito nel dicembre del 1934; ma c’era un altro legame con la nostra città, quello con Ferruccio Busoni».

Per mamma e papà – rispettivamente italiana e albanese – era Aleksandër Moisiu. Per gli italiani – era nato a Trieste nel 1879 – era Alessandro Moissi. Per il mondo del teatro – che era quello austriaco e germanico – era Alexander Moissi.

Di queste tre versioni, Massimo Bertoldi, storico del teatro bolzanino e critico teatrale dell’Alto Adige, ha scelto la terza, Alexander Moissi, perché la vita teatrale di questo personaggio curioso, legata soprattutto a Vienna e a Berlino, fu per l’appunto tedesca e perché il nome meglio si adatta alla dimensione mitteleuropea del personaggio, alla sua storia e alla temperie culturale in cui crebbe e divenne famoso.

Famoso e dimenticato. E infatti Bertoldi gli dedica un volume, costruito in cinque anni di ricerche e pubblicato non a caso da Cue Press, editore superspecializzato nel settore del teatro.

La carriera

Ma chi era Moissi, e che cosa ha spinto l’autore di questa preziosa biografia a ricostruirne vita, morte e miracoli (teatrali)? Figlio di un facoltoso commerciante albanese, il protagonista di questa storia si era ritrovato a crescere in una famiglia impoverita da una disgrazia: la flotta mercantile che consentiva al padre Costantino lauti guadagni venne distrutta da una tempesta. Questo costrinse Alessandro a cercare fortuna in un altro angolo dell’impero Austro-Ungarico del cui faceva parte anche la natia Trieste. Decimo e ultimo di dieci fratelli, sbarcò a Vienna sulle orme di una sorella, inseguendo da subito una carriera artistica.

Voce tenorile di notevole qualità, entrò al Conservatorio di Vienna, ammesso da una commissione di cui faceva parte l’illustre Ferruccio Busoni, ma ben presto ne fu espulso per totale disimpegno nello studio. Giovane disoccupato, passando davanti al Burgtheater lesse un avviso che annunciava la ricerca di comparse. Fu la sua fortuna: dopo un paio di “comparsate”, e alcune apparizioni nel coro popolare di un’opera lirica, sul palco lo notò Josef Kainz, superstar del teatro viennese, e fu lui ad avviarlo alla formazione e alla carriera di attore.

Carriera che, ci ricorda Bertoldi nel volume, iniziò con due anni di gavetta al Neues Deutsches Theater di Praga, segnalandosi soprattutto per il ruolo da protagonista nel Cyrano. Fu il primo atto di una carriera straordinaria, osannata e contrastata, esaltata da tanti critici ma anche ricca di critiche negative: Moissi usava la voce come uno strumento musicale, e non aveva mai perso il suo accento da italiano. Ma aveva un fascino misterioso, un carisma che gli permise di diventare un attore alla Mastroianni, di quelli che non recitano il personaggio ma se stessi, capaci di trasferire sulla propria personale essenza – e di viverla intensamente – le caratteristiche del ruolo da interpretare. Che non è più interpretato ma vissuto fino in fondo.

Ed ecco la grande occasione: Max Reinhardt, regista e celebre direttore del Deutsches Theater di Berlino, lo chiama nella sua compagnia: è il 1903 e il pubblico berlinese, affamato di novità e di contemporaneità, lontanissimo dal paludato tradizionalismo dei viennesi, lo adotta subito e lo consacra star nei ruoli principali dei Bassifondi di Gorkij e nell’Elektra di Hoffmanstahl.

Moissi si confronta con altri grandi autori come Schiller e Shakespeare e Ibsen e affronta con Reinhardt fitte tournées a Vienna, Mosca e Parigi.

Scoppia la Prima Guerra mondiale e l’attore, 36enne, per dimostrare la sua gratitudine verso la nazione che lo aveva adottato e lanciato, si arruola e va a combattere sul fronte francese: l’aereo da ricognizione su cui vola viene intercettato dagli inglesi, Moissi viene catturato e chiuso in un campo di prigionia dove si ammala di tubercolosi.

Due anni dopo lo liberano e lui, nella nuova Germania repubblicana matura idee rivoluzionarie: si innamora del socialismo e della rivoluzione bolscevica e riprende a lavorare in teatro tornando a fare base a Vienna con frequenti tour in Russia, dove diventa un idolo anche grazie alla sua fama di socialista.

Si muove con disinvoltura fra la moderna Berlino e la nostalgica Vienna, collezionando recensioni contrastanti per l’originalità estrema delle sue interpretazioni, poi finalmente calca un palco italiano, ospite della sua Trieste nel maggio del 1918.

Ed è solo l’inizio di una frequentazione italiana che ricorre più volte e che lo porta a diventare amico di artisti come Eleonora Duse. Le tournée, con importanti compagnie viennesi e berlinesi, si allargano a Parigi e a gli Stati Uniti, fino a quando le nuove Avanguardie e la voglia di modernità della cultura berlinese non oscurano la fama di Moissi, che si era cimentato nel frattempo anche nel cinema. In quello muto, che certo non valorizzava la dote principale dell’attore triestino: la sua voce.

Dunque una carriera non lunghissima ma molto intensa, segnata da incontri storici come quello con Pirandello che per lui scrisse un testo, con Franz Kafka che ne esaltò le doti nei suoi Diari, con Benito Mussolini che lo applaudì più volte. Il Duce gli promise la cittadinanza italiana, che ottenne solamente in punto di morte.

Consumato dalle conseguenze di quella tubercolosi che lo aveva aggredito in guerra, morì a Vienna il 22 aprile del 1935, e dopo i solenni funerali viennesi fu seppellito - per sua espressa volontà - nel piccolo cimitero svizzero di Morcote, sul lago di Lugano, dove si rifugiava spesso negli ultimi anni di vita. Sulla lapide, l’essenziale: Alessandro Moissi 1879-1935.

Di questo grande attore, dimenticato in fretta e ingiustamente dalla storiografia del teatro, restavano fino ad oggi poche tracce, disperse nelle biblioteche e nelle emeroteche della Mitteleuropa.

Il libro

Bene dunque ha fatto Massimo Bertoldi - già autore di vari saggi sul teatro rinascimentale e contemporaneo e autore di Lungo la via del Brennero (2007) e del volume sui 70 anni di storia del Teatro Stabile di Bolzano (2021) - a ricostruirne vita e opere, con un lavoro certosino che lo ha portato a riesumare recensioni e documenti rintracciati in varie biblioteche, partendo dalla Tessman di Bolzano: «Ho iniziato da Bolzano, scoprendo che per esplorare quelle di Vienna, Berlino e altre città tedesche dove c’erano tracce di Moissi, oggi non serve viaggiare. Le biblioteche di mezza Europa sono digitalizzate e dunque è bastato un computer e tanto tempo e tanta passione».

Ma come è risalito a Moissi e alla sua storia? E perché proprio lui? «Mi sono imbattuto in Moissi scrivendo la storia del vecchio Teatro Verdi di Bolzano e scoprendo che l’attore triestino era andato in scena nella nostra città dal 21 al 23 dicembre del 1934 con Il cadavere vivente, Spettri e Amleto, i suoi cavalli di battaglia. E scoprendo inoltre che c’era un legame con un altro grande artista che ha legato il suo nome a Bolzano: Ferruccio Busoni, che faceva parte della commissione del Conservatorio di Vienna e anche di quella del Burgtheater che ammise Moissi avviandone la carriera».

Insomma, da due piccoli spunti, è nata una grande storia. Che esce in libreria in questi giorni e che verrà presentata ufficialmente a Bolzano nel prossimo autunno.

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