Appuntando Godot

Anna Bandettini, «Robinson Libri (La Repubblica)», 15 gennaio 2022

Le note e le correzioni di regia dell’opera più famosa di Samuel Beckett nei suoi quaderni appena pubblicati in italiano. In primavera arriva anche Finale di partita

Scriveva su un quadernetto rosso, marca Le Dauphin, coi fogli a quadretti grandi 21x13 centimetri. Con una penna a inchiostro nero e una a inchiostro rosso, Samuel Beckett vi appuntava, un po’ in inglese, un po’ in tedesco, con una calligrafia ordinata e aristocratica, cancellazioni, nuove indicazioni e, via via, idee di regia per il suo capolavoro teatrale più conosciuto.

Siamo nel marzo del 1975 e lo scrittore e drammaturgo irlandese, Premio Nobel da sei anni, un protagonista della cultura internazionale, preparava la sua regia di Aspettando Godot allo Schiller Theater di Berlino. In seguito, nel 1984, stavolta nei Riverside Studios di Londra, avrebbe ‘supervisionato’ con quegli appunti anche l’allestimento di Walter Asmus con il San Quentin Drama Workshop, firmando nei fatti una sua nuova produzione di Godot.

Per la prima volta si leggono anche in italiano The theatrical notebooks of Samuel Beckett, I quaderni di regia di Samuel Beckett nell’edizione critica di James Knowlson e Dougald Mcmillan, tradotti e pubblicati da Cue Press. Si tratta di appunti, riscritture e ripensamenti, decine e decine di tagli e modifiche che il grande drammaturgo andava facendo al testo alla luce dell’esperienza di regista: dettagli, cambiamenti spesso minuti che riguardano soprattutto le didascalie, ma impossibili da trascurare perché, di fatto, compongono una revisione importante di Aspettando Godot, una ‘nuova’ versione (rispetto al testo originario pubblicato nel 1952, ma anche all’edizione tedesca di Surkhamp sui cui Beckett stava lavorando a Berlino), più concisa, precisata nella struttura delle indicazioni di scena, più scandita nei dialoghi e, in generale, pensata molto più in termini teatrali.

Per il lettore italiano, poi, c’è l’ulteriore novità della nuova traduzione di Aspettando Godot, dopo la prima e celebre di Fruttero e Lucentini del ‘56. A fare il lavoro, un bel lavoro, qui è il curatore dell’edizione italiana, Luca Scarlini, il quale con la collaborazione di una equipe sull’edizione tedesca, ha tenuto fede ai giochi di parole, alle rime (un esempio: quando Pozzo dice a Vladimir : «So I took a knook», diventa un divertente «ho preso al soldo un coboldo») ha dato ritmo al botta e risposta tra Vladimir e Estragon, rispettando l’auto-editing di Beckett che tocca problemi tecnici, tiene conto dei punti di forza o di debolezza degli attori, ma riflette anche temi cruciali sul senso del testo. Un esempio su tutti: la reazione di Estragon a Vladimir che ripete «Aspettiamo Godot», ora diventa un più beffardo «Ah, sì», ripetuto anche nelle ultime battute quando sempre Vladimir dice a Estragon di tirarsi su i pantaloni, e la risposta è ancora uno smagato «Ah, sì», serio e comico, sui toni della tragicommedia come Beckett voleva che fosse Godot.

Nelle 654 pagine, con l’Aspettando Godot revisionato e le oltre duemila note critiche che vi ha fatto Knowlson, amico e biografo di Beckett, curatore dell’archivio, la Beckett International Foundation, sono confluiti anche il taccuino delle note originale in copia scansionata, affiancato dalla traduzione e con le note ad esso riferite, sempre di Knowlson.

Chiaro che non è un libro da abbordare con leggerezza, per via di questa trama di interstetualità continua, perché Aspettando Godot dialoga con gli appunti di regia, i quali dialogano a loro volta con le note di Knowlson. Ma è un libro importante. Intanto, è il primo tomo di un progetto editoriale, sempre Cue Press, che prevede la pubblicazione in primavera del secondo Quaderno di regia sulle messe in scena beckettiane di Finale di partita e l’Ultimo nastro di Krapp, e entro l’autunno del terzo con gli appunti sui Drammi brevi. Soprattutto è un libro illuminante, perché apre le porte al laboratorio di uno scrittore solitamente segreto, come ha scritto Luca Scarlini nella sua prefazione, ci mostra l’officina di lavoro e la visione di come Beckett immaginava le sue opere, lui che era così riluttante a commenti e spiegazioni. Da queste pagine, al contrario, viene fuori un intellettuale consapevole del confronto con la scena e, come dice Knowlson, «uno scrittore che rivela una flessibilità e un’apertura di approccio spesso considerata estranea al suo modo di lavorare in teatro». Non un autore chiuso nella sua trappola paralizzante. Anzi: sembra che il primo a trasgredire quel monumento che era Beckett fosse proprio Beckett.