C’era una volta il dramma. Poi si frantumò in un ‘pastiche’ fatto di tutte le arti possibili e con testi reinventati in scena

Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere»

Negli anni Sessanta, in molti ci siamo formati su una serie di testi saggistici, diventati veri e propri punti di riferimento per integrare la nostra formazione di stampo storicistico, si tratta di: Teoria del dramma moderno di Peter Szondi (1962), Scritti teatrali di Bertolt Brecht (1962), Morte della tragedia di George Steiner (1965), ai quali aggiungerei, anche se pubblicato alcuni anni dopo, Introduzione al dramma di Von Balthasar (1978), la cui visione spirituale era ben diversa da quella marxista degli autori citati, ma che vengono ripescati da Jean-Pierre Sarrazac e da un Gruppo di Ricerca dell’Università Tre di Parigi che, nel volume pubblicato da Cue Press, Lessico del dramma moderno e contemporaneo, a cura di Davide Carnevali, con contributi di Marco Consolini e Gerardo Guccini, ritornano sull’argomento per capire come si sia sviluppata la crisi del dramma fino alla concezione del Post-drammatico teorizzata da Lehmann.
Se, per Szondi, la crisi del dramma era conseguenza degli assetti sociali che avevano portato al concetto di epicizzazione e, pertanto, a un disaccordo tra l’universo soggettivo e quello oggettivo, posizione ben diversa da quella di Von Balthasar che la individuava in un nuovo assetto spirituale, per Sarrazac, il concetto di crisi andava esteso a: «una crisi senza fine, senza soluzione, senza un orizzonte prestabilito», profetizzando quanto sta accadendo ai giorni nostri, caratterizzati da punti di fuga sempre imprevedibili.
Per arrivare a simili considerazioni, Sarrazac parte dall’analisi dell’uomo e del personaggio del XX secolo, da quello ‘psicologico’ ed ‘economico’ a quello ‘massificato’ e ‘separato’, evidenziandone la scissione che non riguarda più l’identità, ma l’estraneità che, a sua volta, porterà alla crisi della trama, ovvero della ‘fabula’, per aprire le porte a una drammaturgia fondata sulla crisi del dialogo, sulla frammentarietà e sulla materialità.
Il dramma più che una rappresentazione diventa un ‘materiale’ su cui lavorare attraverso un processo di assemblamento e di decostruzione. A sua volta, la crisi del dialogo, ha favorito la forma del monodramma che fa ricorso a incroci e ibridazioni di ogni tipo. C’è un altro punto da cui partire per andare oltre l’analisi di Szondi ed è quello del Teatro documento che ha il suo prototipo nell’Istruttoria (1965), di Peter Weiss, che utilizzava già materiali diversi, drammatizzati con l’uso del montaggio.
Insomma, il dramma non si presenta più nella sua organicità, ma attraverso collages apparentemente non omogenei, ma i cui punti di raccordo erano ben evidenti, benché l’azione teatrale si manifestasse in maniera discontinua, sia nelle tematiche che nella struttura compositiva, non più costruita sulla conflittualità, ma sulla tensione dovuta ai materiali che venivano presi dai documenti storici e dalla cronaca. Accadeva che la struttura del dramma venisse frantumata a vantaggio del pastiche e di corpi estranei, grazie alla combinazione di elementi diversissimi. Si trattava di un teatro fatto con detriti, con assemblaggi dove la teatralità cedeva il posto al ‘teatrocentrismo’, in cui il testo veniva reinventato direttamente sulla scena, non più luogo di trascrizioni, ma di interventi che utilizzavano tutte le arti possibili, grazie alle nuove tecnologie e all’uso delle videocamere. Il ‘teatrocentrismo’ vuol presentarsi come l’opposto della teatralità ritenuta un genere fatto di enfasi, di autocelebrazione, di narcisismi e di convenzionalismi.
Il Lessico, che dà il titolo al volume, è formato da ben 57 lemmi elencati in forma alfabetica, si va da Azione a Voce, passando attraverso una serie di contributi di 24 personalità del mondo dello spettacolo, quasi tutti docenti universitari. Gli interventi di Consolini e di Guccini aggiungono un loro tracciato teorico a quello indicato da Sarrazac.