I cent’anni che posero le basi di spazi, meccanica, costumi, luci, recitazione professionale. E nacque il teatro all’italiana

Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».

Nella ormai sterminata bibliografia sul teatro rinascimentale, il volume di Sara Mamone Il teatro della Firenze medicea, edito da Cue Press, può considerarsi un piccolo classico, non solo per la teorizzazione che l’autrice fa di quel periodo, ma anche per i documenti che ha utilizzato, parte dei quali si può leggere nel capitolo a loro dedicato.

Il periodo preso in esame è quello che va dal 1536 al 1636, lungo il quale, furono poste le basi, non solo del teatro all’Italiana, ma anche quelle che riguardavano l’uso degli spazi, della meccanica, delle luci, della costumistica, della recitazione professionale, grazie alla nascita delle Compagnie che, per mestiere, e non per diletto, scelsero di fare teatro.

Sara Mamone è una specialista dell’argomento, in particolare di quello che riguarda il rapporto tra città e teatro, tra testi e rappresentazioni, tra festa e spettacolo, tra politica e teatro, in un momento in cui il predominio artistico era valutato come fonte primaria del PIL, oltre che di contesa culturale tra i vari principati. Non fu certo solo Firenze al centro di un vero e proprio cambiamento di civiltà. Città come Ferrara, Roma, Mantova, Venezia, Padova furono consorelle di quella storica trasformazione dell’Italia, che riprendendo il mito della classicità, arginò il predominio di un’arte al servizio della Chiesa che aveva caratterizzato quella medioevale.

Nei cent’anni trattati dalla Mamone è il Principe il vero protagonista, nella figura di Cosimo, il mecenate che continuò l’opera intrapresa da Lorenzo dei Medici, confermando l’appellativo di Secolo d’oro, che vide il primato artistico in tutti i campi del sapere, con l’uso di un potere vigile e prudente che, a Firenze, fu rappresentato anche da artisti come Brunelleschi, Sangallo, Vasari, Buontalenti, veri pionieri dello spettacolo rinascimentale, inventori di spazi adibiti alla rappresentazione, di macchine sceniche, di raffinatezze tecniche, di apparati e di prodigi della scenotecnica e della scenografia, di un vero e proprio sistema urbanistico che si espresse attraverso la creazione dei teatri fiorentini, costruiti nei Cortili del Palazzo Mediceo, nella Sala del Palazzo dei Cinquecento, nel giardino di Palazzo Pitti, nel primo teatro stabile degli Uffizi.

Sara Mamone, attraverso le cronache e gli epistolari del tempo, mette il lettore nelle condizioni di conoscere la lenta, ma progressiva trasformazione della città che, grazie all’investitura spettacolare, si presentava, a volte, come una ‘città travestita’, dal primato indiscutibile. Il periodo che vede protagonista Cosimo e i suoi figli segue quello della grande drammaturgia dell’Ariosto, del Ruzante, di Machiavelli, del Lasca, del Bibbiena, subordinata ai testi, con autori come Antonio Landi, Girolamo Bargagli, Francesco d’Ambra, Giovan Battista Gelli e altri che misero i loro testi al servizio di nozze imperiali, di feste, di conviti, di trofei e, soprattutto, degli Intermezzi, per i quali vennero sperimentati i prodigi della scenotecnica, oltre che della musica, preparando la grande stagione del melodramma e del balletto.

Nella cronologia, raccolta dalla Mamone, ho contato più di venticinque novità assolute, la nascita dei primi melodrammi e della poetica barocca, più attenta alla spettacolarità, che alimentava lo sfaldarsi della scrittura e della trama a vantaggio dei giochi prospettici, avendo subordinato tutto alla esibizione e alla creazione dello stupore.

Fra i documenti, il lettore si imbatte in cronisti poco noti, come Giovanni De Bardi, Domenico Mellini, Filippo Giunti, Bastiano De Rossi, Giovan Battista Cini, grazie ai quali si è potuta fare la ricostruzione di un secolo che il mondo continua a invidiarci. Come dire che, senza l’apporto della cronaca, non è possibile fare la storia del teatro, questo vale per ieri e per oggi.