I peggiori film anni 70 visti da Renato Palazzi

Simona Spaventa, «la Repubblica», 28 febbraio 2022

Un libro postumo raccoglie i testi affilati scritti da giovane dal grande critico scomparso a novembre

«Esotici, erotici, psicotici». Non sono i mostri da cronaca nera tutta sangue, perversioni e atrocità. Tutt’altro. L’ultima sorpresa di Renato Palazzi, l’autorevole e serissimo critico teatrale milanese scomparso a novembre, è un libello che sguazza nel sottobosco cinematografico a tinte forti che cinquantanni fa, nel momento d’oro del nostro cinema più commerciale, riempiva i tamburini dei giornali con i titoli in proiezione nelle (oggi scomparse) decine di sale in città. Il peggio degli anni Settanta in 120 film, come recita il sottotitolo, è catalogato non senza ironia nelle 155 pagine del libretto postumo, appena pubblicato da Cue Press, che oltre a fare un’attenta disamina della produzione di serie Z del cinema di quei tempi, è anche una sorta di diario degli anni più sofferti della gavetta dell’autore.

Perché il giovane Palazzi, dopo l’esperienza al Piccolo al fianco di Paolo Grassi, decise di darsi alla carta stampata e nel 1974, non ancora trentenne, iniziò a collaborare con la redazione spettacoli del «Corriere». Mal gliene incolse, perché il caporedattore di allora, intuendo le velleità intellettualistiche del nuovo arrivato, lo mise subito a posto: altro che prime teatrali, avrebbe recensito i peggio filmacci sorbendosi il primo spettacolo pomeridiano in sale oggi estinte come il Tonale e il Diamante, votate al trash incondizionato. Il «caudillo», come Palazzi definisce nella prefazione il suo seviziatore, giustificava tale sadismo col dovere di cronaca — «Se c’è un pubblico a cui interessano, tanto vale parlarne» — , ma il giovane critico ci vedeva della perfidia: «Credetemi, bisogna proprio voler annientare una persona per mandarla a vedere un film con Sabina Ciuffini».

Escluso dal poter scrivere perfino di futuri cult pecorecci tipo Giovannona coscialunga, considerati a mo’ di «classici imperituri», gli toccavano pellicole dimenticabili (e difatti dimenticate) dai titoli coloriti quanto il contenuto, roba tipo Bocche di velluto, Carnalità o La verginella, popolate dai soliti nomi da commediola sexy «da estetica della palpata»: Gloria Guida e Edwige Fenech ma anche Carlo Giufirè, Erica Blank (a cui Palazzi affibbia, con colta perfidia, l’aggettivo «strehleriana») e appunto la Ciuffini. Nella sua brevissima avventura nella settima arte, la valletta dei quiz piomba nel pruriginoso Oh, mia bella matrigna, anno 1976, e il critico sospetta «che l’insulsa vicenda sia soltanto l’equivoco pretesto per indurre la pecorella smarrita di Mike Bongiorno a mostrare biancheria intima, qualche seno e anche un po’ di sederino».

La pellicola, insieme ad altre maliziosette, è catalogata nel capitolo Voyeurismo casereccio, che affianca i vari filoni allora di moda a cui Palazzi attribuisce appellativi cattivelli. Ci sono le Porno-inchieste, i Sexycarceri e lager, e ancora i Pugni e fagioli «nella scia sempre più lunga di maldestri imitatori ed epigoni sfuocati della coppia Terence Hill-Bud Spencer» e le sentimentalissime Furtive lacrime. Nella sezione sui filmetti erotici stranieri, spicca il messicano Eviration: «Che pubblico turbolento al Majestic, alla prima! (...) All’uscita, si è raccolto attorno alla cassa protestando irosamente, al grido di ‘bidone’». Perché, se una cosa la fa rimpiangere questa antologia dove «gli attori sono carne da cannone da gettare in pasto alla platea», è il fatto che, allora, le platee erano piene, eccome.