In forma di quadro Note di iconografia teatrale

Lorena Vallieri, «Drammaturgia».


«L’iconografia teatrale è una delle grandi questioni irrisolte della storiografia sullo spettacolo» (p. 11). È questo l’assunto di partenza del recente volume di Renzo Guardenti: una raccolta di saggi scritti nell’arco di quasi vent’anni dedicati ai temi e ai problemi legati all’utilizzo delle immagini come fonte per indagare e comprendere le arti della scena. A cominciare dalla loro doppia natura: da una parte di oggetto artistico autonomo – con un proprio linguaggio e con proprie regole e tecniche –, dall’altra di sedimentazione visiva delle pratiche performative. Monumenti e documenti, per utilizzare una nota endiadi concettuale di Jacques Le Goff. Forse anche per sfuggire a questa loro complessità le testimonianze iconografiche sono spesso utilizzate come mere illustrazioni, quando non ignorate da un campo di studi in cui è ancora fortemente radicato un pregiudizio testocentrico ormai anacronistico. Le immagini di teatro hanno invece un’importanza primaria per la storia dello spettacolo: tramandandone la dimensione visiva, consentono «di perpetuare la memoria di forme artistiche che, in virtù del loro carattere effimero, rischierebbero di essere relegate nell’ambito della parola, del discorso, del testo scritto» (ibid.).
Se quella tra arte e spettacolo è destinata a essere una «partita senza fine», come l’ha definita Sara Mamone (Dèi, semidei, uomini. Lo spettacolo a Firenze tra neoplatonismo e realtà borghese [XV-XVII secolo], Roma, Bulzoni, 2004), essa ha trovato nei lavori della scuola fiorentina un proficuo cantiere di studi che, avviato da Cesare Molinari e Ludovico Zorzi rispettivamente negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, è stato portato avanti con profitto dai loro allievi – lo stesso Guardenti, Mamone e Stefano Mazzoni in primis – secondo due linee di ricerca che l’autore definisce «assolutamente parallele e per certi aspetti divergenti» (p. 12), ma che ritengo piuttosto complementari. La prima si è orientata verso la ricostruzione storico-filologica delle diverse forme dello spettacolo attraverso la messa in luce degli elementi e dei processi che hanno portato alla costituzione dell’opera; la seconda ha privilegiato la definizione delle diverse idee e prassi di teatro e di quel complesso sistema di relazioni tra committenti, realizzatori e fruitori che è alla base del fare spettacolo.
Entrambe hanno portato gli studiosi a interrogarsi su quelle che sono le radici profonde delle discipline teatrali e sul loro statuto metodologico, compreso il modo in cui relazionarsi con le fonti iconografiche. Ne è emersa la necessità di articolare questo tipo di reperti in coerenti e organiche tipologie documentarie che permettano la loro catalogazione e una più facile fruizione anche attraverso appositi archivi digitali. Tra questi non si può non segnalare Dionysos, promosso dal dipartimento di eccellenza SAGAS dell’Università di Firenze sotto la direzione di Guardenti: oltre ventiduemila immagini riferibili al teatro e allo spettacolo dall’antichità classica alla prima metà del Novecento schedate sulla base di criteri che privilegiano la teatralità del documento.
Tale archivio di iconografia teatrale, al pari del volume che qua si presenta, è parte degli esiti scientifici di una linea di ricerca da tempo portata avanti da Guardenti e volta a indagare non solo i rapporti tra teatro e arti figurative, ma anche il valore testimoniale della documentazione iconografica a vario titolo riferibile alle arti dello spettacolo nonché le possibilità di impiego di tali documenti nell’ambito di ipotesi ricostruttive di forme spettacolari, prassi sceniche e recitative. Si tratta di riflessioni fondanti per la storiografia teatrale che vedono una loro applicazione pratica nei dieci capitoli del libro in cui sono approfonditi momenti chiave della storia del teatro e dello spettacolo europeo lungo una diacronia che va dal Seicento al Novecento.
Dopo alcuni imprescindibili premesse metodologiche (capp. 1-3), con un focus sull’importanza delle riviste teatrali, spesso trattate «con aristocratico disprezzo da certi settori delle discipline dello spettacolo» (p. 31), Guardenti analizza l’iconografia della Commedia dell’Arte con una particolare attenzione all’area francese, alle attrici e alla musica, elemento consustanziale del fare teatro (capp. 4-7). Attraverso selezionati esempi lo studioso ricostruisce poi le pratiche attoriche tra Sette e Novecento e i loro riflessi figurativi, anche tramite un’icona quale Sarah Bernhardt, una tra le attrici che ha saputo meglio sfruttare le potenzialità promozionali dell’immagine (capp. 8-9). Infine si sofferma sulle prime regie viscontiane analizzandole a partire dalle foto di scena (cap. 10). Il percorso si chiude, e non poteva essere altrimenti, con una selezionata suite di oltre centocinquanta immagini.