Necessità e utopie degli Stracci della memoria

Viviana Raciti, «Teatro e Critica».

«Ricucire i resti delle nostre differenti memorie (individuali, storiche, antropologiche) e ripararne i traumi nell’unità di uno spettacolo-rito»: una proposta deflagrante, utopica, forse la diremmo provocatoriamente fuori moda, oggi, e perciò più che mai necessaria.

È questo il senso di Stracci della Memoria, progetto internazionale pluridecennale di ricerca e formazione nelle arti performative a cura di Instabili Vaganti e ora titolo del volume dedicato al loro lavoro. Lo riporta bene nella prefazione di Silvia Mei, Sulle rive della memoria, facendo emergere le tre principali direttive, che si riversano l’una sull’altra a cascata, intrecciandosi nei diversi capitoli della loro esperienza: il ‘viaggio’ come azione fondamentale, destrutturante e stimolante, attraverso la quale la compagnia bolognese recupera questioni e stimoli; l’importanza, dunque, dell’idea di ‘spazio’ come luogo soggettivo e aperto; infine l’abbattimento della barriera linguistica, ‘l’universalizzazione del linguaggio’ come corollario necessario alle prime due.

Un testo che nasce da dentro, dalla volontà di Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola – performer, registi e pedagoghi – di raccontare le proprie modalità formative in giro per il mondo, dal Kosovo a Matera, dal Messico alla Cina. Emergono due forze speculari e necessarie l’una per l’altra: una prima esplosiva, che pone sul piatto differenti forme artistiche incontrate e desiderate, i diversi linguaggi, diversi luoghi e diversi approcci; e dall’altra parte una forza aggregativa, che prova dunque a ricucire, a mettere insieme, a dare un senso all’entropia contemporanea.

Un bisogno di unità, che prende la «forma di brandelli d’arte dispersi in ogni luogo», come afferma Dorno nella sua dichiarazione introduttiva, quasi un manifesto del proprio lavoro, iniziato nel 2006 e che ha come parola totem la memoria, nella sua azione di recupero e al contempo di necessaria selezione. Su tutto aleggia almeno un nome, fondativo della ricerca teatrale secondo-Novecentesca: quello di Jerzy Grotowski, punto di riferimento, fonte storica e critica, a cui si accompagnano altri numi tutelari, da grandi letterati del passato ad alcuni studiosi contemporanei.

In questo volume, edito da Cue Press nel 2018, i capitoli centrali presentano singolarmente le tappe del percorso di Instabili Vaganti e in maniera chiara restituiscono i concept di lavoro, i workshop, le performance e le loro temporanee conclusioni, raccordate da conversazioni con gli artisti, testimonianze e restituzioni critiche provenienti da tutto il mondo. Conseguenza naturale e, quasi radice ante litteram di questi Stracci, è anche il recupero del diario di bordo pubblicato dal 2014 al 2016 da «fattiditeatro.it» che, come racconta Simone Pacini, derivava dall’esigenza della compagnia di restituire l’intensità delle esperienze artistiche e umane vissute.

Infine, una galleria fotografica restituisce quella forza materica di «corpi in presenza», ombre granitiche stagliate su un video, sulla granulosa terra, bendate, bagnate, affaticate. «Memorie sotterranee» pronte a esplodere, per poi ritrovarsi ricucite in una utopica e necessaria grammatica dell’uomo.