Neorealismo. Poetiche e polemiche

Giuseppe Mattia, «Drammaturgia».

Forse la principale vexata quaestio all’interno del dibattito cinematografico italiano è quella relativa al cosiddetto periodo neorealista, capace di coinvolgere alcune tra le figure di maggior rilievo in ambito culturale, artistico e storico. Claudio Milanini, già docente nelle Università di Udine e di Milano, ha raccolto in questo ricco volume una serie di contributi da parte di critici, artisti e professionisti del settore, ma anche di rappresentanti di gruppi redazionali di riviste. L’intento è quello di offrire al lettore una vasta gamma di interpretazioni e considerazioni da più punti di vista e a diverse altezze cronologiche, mettendo a fuoco tutta una serie di complesse relazioni e incrinature tra società e protagonisti della scena intellettuale italiana novecentesca.

Nell’Introduzione Milanini parte proprio dalla «inadeguatezza del termine neorealismo a designare le esperienze artistiche attraverso cui si espresse […] il desiderio comune a molti intellettuali di contribuire alla formazione di una nuova coscienza collettiva» (p. 11). Altra questione sollevata dallo studioso è quella che investe il neorealismo nelle sue varie declinazioni: dal lungometraggio alla pittura e dalla letteratura al documentario. Proprio con la questione pittorica si apre la sezione Prodromi, con un contributo del 1942 di Renato Guttuso seguito da un profetico coevo articolo di Carlo Lizzani in cui si osserva come il pubblico fosse alla ricerca di «quanto il cinema italiano si ostina a non offrirgli: un’immagine sincera di vita» (p. 30).

Con La stagione dell’impegno il volume vira su altri interventi, vere e proprie ‘chiamate alle armi’ alla vigilia della Liberazione, da parte di autori come Cesare Pavese, Elio Vittorini e Vittorio De Sica il quale, a proposito di Ladri di biciclette (1948), dichiara di aver voluto «rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca» (p. 61). Nelle sezioni Primi bilanci interni e Sviluppi e crisi sono raccolte considerazioni e riflessioni dell’immediato Secondo dopoguerra sulle produzioni letterarie – con scritti di Italo Calvino, Carlo Emilio Gadda e Carlo Levi – e cinematografiche, grazie ai contributi di Giuseppe De Santis, Roberto Rossellini e Cesare Zavattini. Quest’ultimo, ne Il neorealismo secondo me, sua illuminante relazione presentata a un convegno nel 1953, sottintende la natura trainante del movimento ed esorta il lettore-spettatore a non credere «che tutto questo laboratorio non serva anche alle altre forme di cinema» (p. 171), in riferimento a tutti i successivi autori non neorealisti.

In Autocritiche e polemiche postume Carlo Bernari e Vasco Pratolini nel 1957, a neorealismo ‘terminato’, pubblicano su «Tempo presente» le loro risposte alle (identiche) domande del poeta e giornalista Franco Matacotta, focalizzando l’attenzione sui rapporti tra realismo, politica (in particolare l’ideologia marxista) ed eventi socioculturali degli anni Cinquanta. Pratolini arriva ad affermare che l’autobiografismo del dopoguerra è il documento di una mutazione di situazioni in un processo sociale definito che «confluisce nell’esperienza del realismo» (p. 210). Carlo Cassola, nel 1958, pubblica su «Comunità» Ideologia o poesia?, un perentorio articolo sulla catalogazione letteraria in cui dichiara: «i giudizi che sono stati via via dati sui vari indirizzi letterari (neorealismo, letteratura impegnata, letteratura della Resistenza, ecc.), nonché sulle opere e sugli autori considerati di maggior rilievo, mi trovano generalmente in disaccordo» (p. 214). Segue un’intervista del 1960 rilasciata da Luchino Visconti a Tommaso Chieretti, con un’arguta riflessione sulla concezione del ‘realismo’ e sulle sorti del movimento oggetto del presente volume. Il grande regista milanese sostiene che ritornare ai contenuti sensibili del periodo neorealista è una sorta di ripiego, di pigrizia, e aggiunge che «non si deve nascondere dietro la realtà di ieri la scarsa aggressività verso la realtà di oggi» (p. 220). Chiude la raccolta In morte del Realismo, contributo in versi di feroce violenza letteraria a opera di Pier Paolo Pasolini, tratto da La religione del mio tempo (1961).

Il punto di forza di questa raccolta è sicuramente rappresentato dalla diversità, dall’incontro-scontro di opinioni, riflessioni e polemiche multiculturali di origini e periodi diversi, capaci di garantire al lettore un panorama vasto e poliedrico. Tutto ciò consente allo studioso e a un pubblico di non specialisti di approfondire le svariate sfaccettature del dibattito e su questa base di farsi una propria idea sviluppando un pensiero autonomo.

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