«Paolo Grassi: cento anni di palcoscenico», recensione di Isabella Rossi (Drammaturgia.it)

Isabella Rossi, «Drammaturgia.it», 23 maggio 2023

Il centenario della nascita di Paolo Grassi (1919-1981) è stata l’occasione per organizzare nel marzo 2019 un convegno a lui dedicato presso l’Università di Milano, dal quale sono tratti gli otto contributi che troviamo in questo volume, curato da Isabella Gavazzi.

Figura emblematica per la politica e la cultura (sia teatrale che televisiva) del Novecento, Grassi rivive attraverso gli occhi e le parole di intellettuali e critici che hanno lavorato con lui in un volume a beneficio di studenti e ricercatori delle nuove generazioni ma anche degli studiosi più colti. Il desiderio è quello di «fornire un ritratto a tutto tondo che ne abbracci la figura professionale, gli aspetti caratteriali e la personalità, il tutto inserito in un contesto che oggi viene classificato già come storia: scelte professionali, problemi di natura politica sorti durante il percorso lavorativo, il concetto stesso di “fare cultura”» (p. 19).

I primi due contributi della curatrice permettono di presentare Paolo Grassi sia come “addetto ai lavori” che come uomo, attraverso l’intervista a Carlo Fontana – che è stato suo allievo – e il breve excursus sulla sua poliedrica biografia. Noto impresario teatrale, direttore, giornalista e dirigente pubblico, figura fondamentale per la storia del teatro novecentesco milanese e non solo, Grassi si avvicina in giovane età al teatro. La conoscenza con Giorgio Strehler, Franco Parenti, Renato Guttuso e Salvatore Quasimodo fu per lui fonte di ricchezza culturale e di crescita. Il suo impegno politico di militante socialista si concretizza nel voler riportare Milano agli antichi splendori, con «opere d’arte al di sopra di ogni contenuto» (p. 23), attraverso un instancabile e continuo lavoro che lo porta ai vertici della cultura italiana.

Leonardo Spinelli approfondisce il contesto culturale e sociale nel quale Grassi inizia a lavorare nel Dopoguerra. Conosciuto in particolar modo per la fondazione del Piccolo Teatro di Milano (con l’amico Strehler), Grassi riunisce in sé la figura di sovrintendente e operatore culturale essendo riuscito a superare «quella dicotomia tra capocomici e artisti, che operano sulla scena, e organizzatori-burocrati, che al teatro guardano dall’esterno, pur essendo responsabili di grandi decisioni e soprattutto erogatori delle sovvenzioni» (p. 41).

Mariagabriella Cambiaghi ricorda come l’apertura del Piccolo Teatro sia associata al forte desiderio di portare la cultura ai cittadini, ispirato all’ideologia gramsciana. Il rapporto tra Grassi e Strehler, la «coppia dei consoli» (p. 41), viene ripercorso attraverso i principali eventi storici e culturali dell’epoca, fino alle dimissioni di Strehler dall’incarico di direttore artistico nel 1968. Alberto Bentoglio tratta di questo periodo, che dura fino al 1972, in cui Grassi continua a dirigere il teatro, lavorando contemporaneamente alla sua produzione artistica. Se precedentemente i cartelloni delle stagioni erano ricchi di teatro di regia, i cinque anni di direzione in solitudine sono contraddistinti da una diminuzione del numero di opere rappresentate – a favore della qualità – e da una costante ricerca di «opere adeguate alla nuova e complessa realtà del momento e ispirate all’attualità, per scuotere il pubblico e attirare la sua attenzione» (p. 54) (come Visita alla prova de L’isola purpurea di Bulgakov con interventi e ipotesi finale di Giuliano Scabia o Off limits di Arthur Adamov).

La direzione di Grassi, che sopravvive ai moti del ’68 e del ’69, si conclude cinque anni dopo per il sopraggiunto incarico come sovrintendente del Teatro alla Scala, descritto da Mattia Palma come un momento importante per la sua vita, rappresentando l’«esempio per le stimolanti – ma anche logoranti – lotte esterne e interne, politiche e artistiche che […] ha dovuto affrontare» (p. 65). Grassi, con la direzione musicale di Claudio Abbado e del direttore artistico Massimo Bogiankino, porta con sé alla Scala la sua idea di teatro impegnato popolare, pensando «la sovrintendenza della Scala come una missione culturale per il Paese» (p. 66), dove si ricerca un teatro “di stagione”, attraverso una programmazione triennale degli spettacoli, dove il fine ultimo è unire il teatro popolare – sempre di concezione gramsciana – a quello d’èlite.

Irene Piazzoni presenta la figura di Grassi come intellettuale-funzionario della Rai, subito dopo aver lasciato la Scala nel 1977. In qualità di presidente della Rai – con Giuseppe Glisent come amministratore delegato – lotta con l’incombente arrivo della tv privata, mentre progetta la nascita del terzo canale Rai e la creazione di materiali e sceneggiati originali da proporre al pubblico italiano, poiché «l’obiettivo era […] di trovare un equilibrio tra amusement e cultura, tra superficiale e veloce consumo e approfondimento» (p. 85).

Il volume si conclude con l’intervento di Valentina Garavaglia, dedicato al Grassi editore e critico teatrale. Dagli esordi nelle prime redazioni milanesi ai contributi su «Corrente», fino agli scritti politici per il giornale «Avanti», si confronta «quotidianamente con la situazione teatrale del Paese, svelandone le tensioni culturali e sociali, con un’attenzione particolare alle categorie “deboli”, nell’ottica dell’appartenenza a un socialismo umanitario» (p. 96). Con le numerose collane di cui diventa direttore a partire dagli anni Quaranta – da “Collezione Teatro” a “Teatro Moderno”, da “Il teatro nel tempo” fino al “Teatro” edito da Einaudi – Grassi vuole che l’editoria partecipi alla realizzazione di un’identità culturale non solo italiana, ma anche europea.