Uno spettacolo senza spettacolo. Cioè performance. Finché non ebbe a che fare con crisi e drammi di popoli. E fu Living

Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».

Consiglio a tutti gli amanti del teatro, della danza, della musica, di leggere il volume di Richard Schechner: Introduzione ai Performance Studies, edito da Cue Press, trattandosi di un viaggio, ricco di mappe, annotazioni, interventi di studiosi, bibliografia comparata, che permette di addentrarci in un argomento di cui, in maniera impropria, si è fatto un uso e abuso sproporzionato, visto che sembra tutto sia diventato performativo.

La Performance appartiene a una tradizione interculturale antica, con delle forme specifiche, con le quali si manifesta, che coinvolgono discipline diverse. Si potrebbe affermare che si tratti di uno spettacolo-evento, da considerare qualcosa di unico e irripetibile, tanto che luogo e tempo derivano dall’evento stesso, essendo caratterizzati dalla simultaneità, oltre che dalla casualità.
In molti casi, si tratta del teatro senza spettacolo, quello che fu, per esempio, teorizzato da Carmelo Bene, come direttore della Biennale di Venezia (1989-91), col contributo di Umberto Artioli, quando portò in scena il Nulla, a dimostrazione di essere stato un vero performer, oggi ricordato come tale, dato che i suoi testi, senza di lui, non possono avere vita scenica.

Perché senza spettacolo? Forse perché la Performance, non solo non è durevole, ma anche perché non è mai eguale a se stessa, essendo oggetto di accadimenti temporanei. A base di questa sua provvisorietà, credo, ci sia la simultaneità, dato che convivono in essa sia la percezione che la relazione che alimentano, a loro volta, l’immaginario e che creano delle emozioni anch’esse provvisorie, conseguenze di prestazioni di breve durata.

Performance non deriva, infatti, da forma, bensì da fornire, ovvero offrire qualcosa che possa promuovere la nostra sensorialità. Di Schechner, Bulzoni aveva pubblicato La teoria della Performance, 1970-1983, a cura di Valentina Valentini (1984), mentre De Donato, nel 1968, aveva pubblicato La cavità teatrale, dove furono enunciati i postulati di una rivoluzione copernicana nel rapporto tra arte e realtà. Il volume raccoglieva saggi e interventi che costituivano il manifesto del dissenso teatrale americano che il Living esportò in Europa. Per costoro, la Performance consisteva nel fornire una prestazione, nel dare, alla logica dell’azione, dei significati, non solo rappresentativi, ma anche sociali e politici, nel creare delle emozioni diverse, nel fare, del luogo, uno spazio permanente di ricerca.

Nel volume, pubblicato da Mattia Visani, con prefazione colta di Marco De Marinis e con la cura di Dario Tomasello, autore di un capitolo conclusivo sulla via italiana alla Performance Studies, arricchita da una analisi bibliografica di tipo comparatistico, Schechner offre al lettore un ‘manuale’ che contiene molti interventi di studiosi che si sono occupati dell’argomento e che propongono un panorama internazionale sugli studi che hanno caratterizzato la storia della Performance e del suo rapporto con le arti dello spettacolo, dei Rituali, del Gioco, della Recitazione, dei Processi formativi sia globali che interculturali.

Schechner cita più volte Goffman, autore di un classico della sociologia: La vita quotidiana come rappresentazione (Il Mulino, 1959), in cui lo studioso utilizza la metafora teatrale, direi con grande competenza, da applicare alla vita sociale, ma cita anche i suoi incontri con Victor Turner, al quale dobbiamo due altrettanto classici, pubblicati nel 1986, sempre dal Mulino: Dal rito al teatro e Antropologia della Performance, della quale vengono affrontati i diversi generi. Schechner si mette in continua relazione con Turner, teorizzando la sua idea di Performance, da intendere come una sequenza di atti simbolici che hanno a che fare con la vita dei popoli e dei loro ‘drammi sociali’, tanto che il suo carattere di messinscena si interseca, spesso, con gli accadimenti sociali, evidenziando le crisi che producono delle situazioni liminali.

Alla fine di ogni capitolo, Schechner propone esercizi di discussione ed esercizi performativi, molto utili per quella generazione di performer, alcuni professionisti, altri dilettanti, che potranno usufruire di una lezione di metodo con cui confrontarsi nel momento in cui hanno scelto questa attività.