«Pino Tierno. Il teatro nell’esistenza umana», di Giancarlo Mancini (Pulp Libri)

Giancarlo Mancini, «Pulp Libri», 28 febbraio 2023

Molti hanno riflettuto sulla natura effimera dell’evento teatrale, il suo accadere qui e ora, cosa che rende difficile, se non impossibile, la sua trasmissione al di là del ricordo soggettivo. Spesso sono state proprio quelle che vengono chiamate le “prime”, ovvero le occasioni nelle quali un testo ha debuttato sulla scena, ad offrire un concentrato emotivo che va ben oltre quello che accade sulla scena, abbracciando anche lo spettatore.

Prime tempestose di Pino Tierno, traduttore e saggista di opere di teatro classico e contemporaneo, offre una carrellata di alcune di queste serate “notevoli” per il teatro di tutti i tempi. Ne è venuto fuori un libro utile, anche e soprattutto per un lettore non addetto ai lavori, poiché scritto con una rimarchevole chiarezza. Si sarebbe potuto definirlo un “libro per le scuole” se qui il teatro non fosse ancora relegato ad “attività extra-pomeridiana”, ovvero ad un utile passatempo posto al termine delle cose importanti.

Tornando al tema del libro, il primo nodo da chiarire prima di tutti, visto che ci si pone spericolatamente davanti a tremila anni di storia (almeno) è: come sono state scelte queste prime dal contenuto brontianamente (nel senso delle sorelle Brontë) tempestoso? Tierno risponde, nella premessa: per il loro “carattere innovatore o pionieristico”. Insomma, si ha a che fare con testi, o spettacoli, in grado di portare avanti una visione tanto originale e dirompente da stravolgere il modo di stare sul palcoscenico o la sua funzione stessa. Questo punto di vista problematizza anche, per forza di cose, il discorso sulla ricezione. Non poche sono state infatti quelle opere che, nonostante abbiano in pieno corrisposto ai criteri sopradescritti, siano state avversate dal pubblico o, in altri casi, siano financo passate inosservate.

Il racconto di queste prime, corredato anche da un brano del testo, tradotto sempre da Tierno, inizia con la Medea di Euripide, andata in scena in una data imprecisata del 431 a. C., in occasione delle consuete festività greche intitolate a Dioniso, il Dio dell’ebbrezza e dell’uscita di sé. Due concetti divenuti poi intrinseci all’arte teatrale. La storia della donna che uccide i propri figli per punire il marito Giasone, fuggito con Glauce (sua promessa sposa) è anche, scrive Tierno, la rappresentazione di una figura che “esemplifica, attraverso il dolore e la violenza, una nuova immagine di donna, anticonformista, indomita e consapevole”. Dall’antica Grecia si passa poi attraverso la Roma imperiale, l’Inghilterra elisabettiana, la corte del Re Sole, snocciolando le storie di prime come Macbeth, Tartufo, e poi La locandiera di Goldoni, Il Gabbiano di Cechov e così via.

Fondamentale per il teatro così come lo conosciamo oggi, è la prima di Hernani di Victor Hugo, avvenuta il 25 febbraio 1830, al Théâtre François di Parigi. Il dramma dell’autore de I miserabili, ambientato nella Spagna del sedicesimo secolo, il siglo de oro dei giganti Calderon de la Barca e Lope de Vega, mette in scena la storia della passione travolgente di Donna Sol, una ragazza ambita da molti potenti ma innamorata di un nobile esiliato, Ernani. Quella sera di febbraio, a Parigi, non va però in scena solo un testo, pur importante, ma una vera e propria “battaglia”, termine che oggi fa sorridere, ma che all’epoca (siamo in pieno Romanticismo) pare consono per descrivere lo scontro fra chi difende la tradizione impersonata dalla rigida osservanza dei dettami aristotelici e da chi, come Hugo, vuole far prevalere l’emozione al rispetto delle regole classiciste. Fra il pubblico, a parteggiare per Hugo, ci sono anche giovani studenti come Théophile Gautier, Gérard de Nerval, Hector Berlioz.

E se Hernani è stato la chiave di volta del teatro moderno, Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, lo è stato tutto il teatro novecentesco, alla costante ricerca del modo per poter tornare ad essere al centro della società. La prima di questo testo avviene il 9 maggio 1921 al teatro Valle di Roma. Recentemente la genesi di questo testo drammaturgico cruciale per tutto il secolo scorso è stata ricostruita nel film di Roberto Andò, La stranezza, dove si mostra il turbine di polemiche, le zuffe, verificatesi quella notte al Valle, a parte quel grido di “Manicomio!” urlato da qualcuno in platea e diventato poi oggetto di varie ricostruzioni. Tierno non ricostruisce però lo sconcerto che quella sera lo spettacolo provoca fra i critici, alcuni anche molto importanti e solo molto velocemente in quali circostanze, poi, il testo fu riconosciuto come un punto di riferimento imprescindibile per chiunque volesse scardinare i meccanismi della tradizione.

Il percorso termina nel 2012, con Sul concetto di volto nel figlio di Dio della Societas Raffaello Sanzio, con le roventi polemiche che coinvolgono anche la curia milanese. L’ultima, ma solo perché la più vicina, fra le tante prime raccontate.

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