«Quaderni di regia e testi riveduti. Aspettando Godot», recensione di Gigi Giacobbe

Gigi Giacobbe, «Il Sipario», 28 giugno 2022

Samuel Beckett ha fatto quel che ha voluto del suo Aspettando Godot dopo essere andato in scena la prima volta nel gennaio del 1953 al Théâtre de Babylone di Parigi con la regia di Roger Blin, anche quello di dirigerlo personalmente in tedesco (col titolo Warten auf Godot) il 7 marzo 1975 allo Schiller Theater di Berlino e dopo quasi dieci anni (nel 1984), quando sulla soglia dei 78 anni di età, su invito dell’amico Rick Cluckey, accetta di fare la regia nel carcere di San Quintino, dirigendo gli attori del San Quentin Drama Workshop.

Il prezioso volume rivolto non soltanto agli addetti ai lavori, pubblicato dalla Cue Press e curato da Luca Scarlini con gli interventi critici di James Knowlson e Douglas McMillan, riproduce non solo il testo riveduto di Aspettando Godot corredato di 2602 note, ma anche la copia anastatica dell’originale documento, detto il 'quaderno rosso' per via della copertina d’identico colore, su cui sta scritto a mano di Beckett ‘Godot Berlin 75 II’. Le note sono scritte con inchiostro nero su paginette a quadretti con molte aggiunte e modifiche apportate in penna rossa durante le prove e qui riprodotte in grassetto. Spiccano parole cancellate, ugualmente leggibili, disegnini dello spazio scenico indicando con le sole iniziali dei personaggi i loro nuovi spostamenti, mentre un numerino in alto rimanda alle note di regia inserite nell’ultima parte del rocambolesco volume che sarebbe molto piaciuto a Jorge Luis Borges.

Pare che Beckett ogni volta che metteva mano al suo testo operasse cambianti significativi, aggiungeva levava modificava interi brani, comprese le didascalie, movimenti e gesti degli attori in scena. Come esempio vale l’incipit della pièce in cui Estragon da solo sul palcoscenico, seduto su una pietra sta cercando di togliersi uno stivale, dicendo: «Niente da fare», mentre Vladimir si trova fuori scena in penombra accanto all’albero. Beckett cambiò radicalmente questo inizio sia a Berlino che al San Quintino, tenendo i due vagabondi in scena, inseparabili sin dal primo momento. 

Il secondo cambiamento è stato quello di creare momenti d’attesa, durante i quali i personaggi restano immobili e silenziosi. Momenti chiamati da Beckett tableau statici, ripetuti strategicamente dodici volte nel corso dello spettacolo giusto per fornire allo spettatore la pressante realtà del silenzio e dell’attesa. Le note che accompagnano Aspettando Godot, in un continuo passaggio da una lingua all’altra (francese, inglese e tedesco), si caricano «di segreti leitmotiven come voleva la lezione di James Joyce», argomenta Scarlini, con Beckett che diventa anche regista della sua opera, «affrontando con piglio assai personale lo specifico della radio e della televisione». Si individuano nel testo riveduto dei cambiamenti che danno maggiore vitalità e umorismo ai dialoghi con netti rimandi al varietà o al circo, resi evidenti, ad esempio, allorquando arrivano in scena Pozzo e Lucky e sia Estragon che Vladimir confondono il nome di Pozzo con Bozzo, tagliando l’uno le battute dell’altro mentre si tolgono il cappello come facevano Stan Laurel e Oliver Hardy nelle loro comiche. 

Insomma questi Quaderni di regia di Beckett, chiarisce James Knowlson, possono illuminarci su alcuni temi dell’opera in cui la parola chiave è 'forse': come quando Estragon e Vlamidir dicono d’impiccarsi ma non lo fanno o quando bofonchiano di lasciare quel luogo ma non ci riescono, speranzosi sempre che possa giungere Godot. Anche alla fine non si muovono, stanno fermi sul palco, sebbene il Ragazzo abbia detto loro che quella sera Godot non sarebbe arrivato. Tutto è incerto, come la vita, come quando i due beniamini non riconoscono, nel secondo atto, Pozzo e Lucky e lo stesso Ragazzo non li riconosce in nessuna delle sue due visite. 

Vi sono altri due esempi cruciali, aggiunge ancora Knowlson, che ci rimandano alle immagini della crocifissione, non si sa se intenzionale da parte di Beckett, lì dove i corpi di Pozzo e Lucky cadendo a terra formano una croce e Vladimir e Estragon si ritrovano spesso ai lati dell’albero con netti richiami alla croce. «Quello che posso dire», dice in conclusione Scarlini, «è che le due produzioni di Beckett allo Schiller Theater e al San Quentin, furono due delle più belle produzioni di quell’opera che abbia mai visto».