Recensione di «Lettere» di Bernard-Marie Koltès, di Gianni Poli (Teatro Contemporaneo e Cinema)

Gianni Poli, «Teatro Contemporaneo e Cinema», anno XIV numero 44, febbraio 2023

Dal 1955 al 1989, Koltès ha tenuto una fitta corrispondenza con i famigliari e gli amici: mezzo di comunicazione e soprattutto d’espressione di sentimenti intimi, sinceri, a volte censurati. Inventore d’una mitologia tortuosa in uno stile classicamente sorvegliato, sui temi d’una ricerca esistenziale tormentata, ha scritto lettere (530 invii) di profondo significato umano e culturale. Impressionano la delicatezza, l’umorismo e l’autoironia; la sincerità e il pudore, la lealtà e la riservatezza nei confronti dell’interlocutore ai diversi livelli di relazione. Specialmente con la madre sorgono rapporti nitidi e dolorosi, per senso di inadeguatezza e d’amore sconfinato; con le donne amiche, un’affettuosa partecipazione agli interessi comuni. Il teatrante cercherà la vocazione dell’artista, perseguita con fedeltà e sacrificio, in dedizione assoluta alla propria visione del mondo da esprimere in scena. Esigente con se stesso dall’inizio, pretende l’originalità: «Detesto la mediocrità nell’arte... Farò questo solo se le mie idee saranno realmente ed effettivamente interessanti e nuove» (p. 69).

Dagli anni 1960 aspira a frequentare la Scuola del Théâtre National de Strasbourg, per formarsi adeguatamente alla sua arte d’elezione. In ciò aiutato da Hubert Gignoux che riconosce il talento dell’aspirante regista e drammaturgo e lo mette alla prova proprio in quella Scuola. Cresce d’allora il bisogno di «un atto poetico», testimoniato in una lettera programmatica e appassionata alla già famosa Maria Casarès. Le scelte estetiche appaiono, sempre più chiare in intuizioni e scopi, orientate a una drammaturgia ambiguamente autobiografica, esemplata in Les amertumes e Procès ivre; poi in L’héritage, recitata alla radio da Maria Casarès nel 1972. La solitudine è accolta come «stato [mio] normale» (p. 174), e i viaggi frequenti sono avventure dello spirito in luoghi poi specchiati nella sua opera. Così riferisce della nuova intenzione al fratello François: «Ho iniziato un lavoro in cui invento un modo di scrivere assolutamente rivoluzionario» (ottobre 1978, p. 248). Dopo l’incontro con Patrice Chéreau, nel giugno 1982 discute alla pari con l’autore del film L’uomo che piange (poi, L’Homme blessé), ancor prima di assistere alla sua regia di Combat de nègre allestito a Nanterre. Purtroppo, solo scarse note riflettono sulle pièces maggiori, da La nuit juste avant les forêts (1977) e Combat de nègre et de chiens (1978) a Quai Ouest (1985) e Dans la solitude des champs de coton (1986), né sulle regie, decisive, di Chéreau, né su Roberto Zucco, allestita postuma.

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