Siamo asini o pedanti?

Maria Dolores Pesce, «Dramma».

Probabilmente programmato da tempo ma, per una di quelle casuali coincidenze o interferenze del destino che, anche loro malgrado, assumono il significato di una testimonianza feconda, esce per l’editore Cue Press di Imola, quasi contestualmente alla morte di uno dei protagonisti di quella stagione, questo testo di fine anni Ottanta del secolo scorso, una delle drammaturgie di ‘snodo’ del percorso del Teatro delle Albe di Ravenna, diventato con il tempo uno dei suoi simboli.

Un testo che ha esordito nel 1989, anno topico di una rottura nella storia del mondo o addirittura, secondo qualcuno, della fine della storia stessa, ma capace di una straordinaria e paradossale attualità che ha le sue radici essenziali nella capacità profetica del Teatro delle Albe, in grado di vedere nel presente di allora il suo oltre di oggi, mai però in termini di apodittica affermazione ma in termini di dubbio che scava e smaschera, che accende e alimenta il motore della vera conoscenza che tutto sospende, soprattutto la finta sapienza. Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonno, e i loro primi amici senegalesi, partendo da storie diverse se ne erano fatti portatori dando vita allora a questo eterodosso organismo teatrale che è giunto sin qui mutando sempre senza mai cambiare.

Eretici e comunque dubbiosi sempre, amici di Giordano Bruno e Philip K. Dick e nemici di chi rifiuta di specchiarsi nel diverso da sé, cioè nel doppio che inevitabilmente lo accompagna. Come lascia intendere l’interessante prefazione di Oliviero Ponte di Pino, che correda il volume, un testo politico e dunque polittico (con due t) ovvero politttttttico (con sette t) in quanto riporta la politica alla sua vera natura che è lo stare dentro (e non sopra) e il vedere oltre. Palestra di recitazione e conoscenza per Ermanna, momento di ribaltamento per la scrittura polisegnica di Marco, è un testo con molti padri e soprattutto moltissimi figli, già arrivati o attesi.

Una ‘farsa filosofica’ infine che non adatta o adotta l’attualità, ma a cui l’attualità, anche quella più tragicamente vicina, si adatta per essere meglio compresa.