Toh, ecco Mejerchol’d che butta in vaudeville tre Scherzi di Čecov. Ma c’era poco da scherzare. E Stalin lo fece fucilare

Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».

Esistono, in Italia, due volumi fondamentali per conoscere la concezione teatrale di Mejerchol’d: La rivoluzione d’ottobre, a cura di Giovanni Cirino, Editori Riuniti, 1962, e L’ottobre teatrale 1918/19, Feltrinelli, 1977, a cura di Fausto Malcovati, entrambi attenti a ricostruire una storia che non è solo quella del regista, ma anche quella di come si muoveva il teatro russo nel periodo che andava dalla nascita del Teatro d’Arte alla morte di Mejerchol’d, avvenuta, come è noto, per volontà di Stalin.
Oggi, l’editore Cue Press propone un testo utile per conoscere il suo modo di lavorare con gli attori: 33 svenimenti. L’ultimo spettacolo di Mejerchol’d, ricorrendo a tre atti unici di Čecov: Una domanda di matrimonio, L’anniversario, L’orso, che divennero pretesto per assistere a delle vere e proprie lezioni di recitazione, sul modello del suo maestro Stanislavskij, senza però indugiare sul realismo, ma facendo ampio ricorso alle istanze rappresentate dal Simbolismo.
Egli voleva che, alla rivoluzione economica e sociale, corrispondesse quella artistica, seguendo anche l’estetica formalistica, non molto cara al regime, che la considerava controrivoluzionaria, tanto che questa scelta fu pagata, dal regista, con la morte. I tre Scherzi di Čecov furono provati nel 1934, per poter andare in scena l’anno successivo, noto per le purghe staliniane pronte a colpire coloro che si discostavano dal realismo socialista, a vantaggio del Formalismo, considerato un atto di sabotaggio nei confronti della linea del partito.
Mejerchol’d è già sotto controllo anche per la scelta di Čecov, ritenuta una forma di protesta nei confronti dell’arte di regime. Il regista si era allontanato dal realismo convenzionale e non da quello critico, dopo i suoi studi sulla Commedia dell’Arte italiana, di cui aveva ereditato i lazzi, i giochi, i ritmi, i dinamismi.
Fra i lazzi, scelse quello dello svenimento che trasformò in una specie di leitmotiv della sua composizione scenica. Non dobbiamo dimenticare che Čecov era un medico che conosceva benissimo le cause e le origini patologiche di uno svenimento, tanto che nei suoi Scherzi ci ha dato le molte varianti di cui se ne possono contare ben 14 nell’Anniversario, e 19 nella Domanda di matrimonio e nell’L’orso, che, sommati, diventano 33. Il regista, dopo essersi documentato sulle patologie, in particolare, su quelle di origine nevrastenica, scelse di trattarle facendo uso del vaudeville, alternando leggerezza e dinamicità, annoverando una molteplicità di motivi che potessero concorrere a uno svenimento.
Per esempio, costruisce Lomov, venuto a chiedere la mano di Natalja, come un uomo bonario, ma, nello stesso tempo, ipocondriaco e nevrotico, tale da rendere nevrotica la futura moglie che si batte per dimostrare che un pezzo di terra è suo e non di chi è venuto per una domanda di matrimonio. Su questo contrasto, Mejercol’d costruisce il suo vaudeville che, per far ridere, utilizza, non tanto la rabbia, quanto il procedimento stizzoso che allarga la concitazione tra i due, ai limiti dell’esaurimento, concitazione che ripropone nel personaggio di Chirin, il contabile della banca, che sta scrivendo la sua relazione per l’anniversario, ma che non riesce a portare a termine perché continuamente disturbato dalla moglie del direttore e da una donna venuta a chiedere soldi, dopo la morte del marito.
Il regista fa della stanchezza, della pignoleria, dell’agitazione del personaggio, la molla della comicità, la stessa che ritroveremo in Smirnov, L’orso, che si presenta in casa della vedova Popova per riscuotere un debito del marito che si trasformerà in una colluttazione che fa, addirittura, prevedere un duello con le pistole, ma che si concluderà con un matrimonio.

Ciò che interessava al regista russo era creare uno spettacolo dinamico, facendo del rapporto conflittuale la leva del suo modo di intendere il vaudeville, che deve essere costruito, a suo avviso, su piccole azioni, su continui tic, su movimenti che, alla fine, debbono registrarsi, non nella mente, ma nella coscienza dello spettatore.

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