«Jon Fosse, la voce dell'indicibile» (Corriere della Sera)

Alessia Rastelli, «Corriere della Sera», 6 ottobre 2023

Il Nobel 2023 assegnato allo scrittore e drammaturgo norvegese «Io commosso, premio alla letteratura che vuole essere letteratura»

«Quando scrivo, ascolto. Ascolto il silenzio e cerco di farlo parlare». Così il 17 gennaio 2021, su «la Lettura», Jon Fosse apriva le porte del suo universo letterario. E ieri la sua tenace ricerca di un senso, da raggiungere sottraendo, nella narrativa come nella drammaturgia, ha ottenuto il riconoscimento più importante. L’autore norvegese, 64 anni, è il Nobel per la Letteratura 2023. L’Accademia svedese ha riconosciuto la forza luminosa della sua prosa e del suo teatro, fatti di poche azioni e gesti essenziali, ma che non di rado rinviano ad altro, nutriti da un anelito metafisico in grado di far vivere al lettore e allo spettatore un’autentica esperienza interiore. Ad annunciare il Premio, «per le innovative opere drammaturgiche e la prosa che danno voce all’indicibile», è stato il segretario permanente dell’Accademia Mats Malm, il quale ha raccontato di avere raggiunto Fosse al telefono mentre stava guidando nelle campagne nei dintorni di Bergen, nella Norvegia sud-occidentale, e che l’autore gli ha promesso che avrebbe proseguito con prudenza fino a casa. Il nome di Fosse — autore anche di racconti, poesie, saggi, traduzioni e libri per bambini, oltre che di romanzi e opere teatrali tra le più rappresentate al mondo — circolava già alla vigilia tra i possibili vincitori. E, infatti, «sono stato sorpreso, ma allo stesso tempo non troppo» ha commentato l’autore con l’emittente norvegese Nrk. Anche se poi ha aggiunto: «Negli ultimi dieci anni mi ero cautamente preparato al fatto che potesse accadere. Ma non mi aspettavo di ricevere il Premio oggi, anche se c’era una chance». Fosse ha poi diffuso una nota attraverso la sua casa editrice di Oslo, Samlaget: «Sono commosso e grato. È un premio alla letteratura che vuole innanzitutto essere letteratura, senza altre considerazioni». Una frase in cui c’è molto di lui e delle sue idee. Se nella sua opera Fosse abbraccia le contraddizioni del vivere e le domande più scottanti — la solitudine, l’ansia e l’invecchiare, la morte, il senso del tempo e dell’arte, la ricerca di Dio —, resta però sempre salda la fiducia nella letteratura come strumento d’indagine sul senso ultimo delle cose. «La letteratura è immaginazione. La sua essenza — aveva detto ancora a “la Lettura” — ha a che fare con ciò
che la separa dalla realtà, con la trasformazione della realtà, con la creazione di un universo fatto di forma e contenuto, che così, a sua volta, ti fa guardare la realtà in modo nuovo». A partire da questa visione, Fosse si era anche detto contrario a un certa recente influenza delle «politiche dell’identità» sulla letteratura; così come lontano dall’autofiction, che invece tanta fortuna ha portato a un altro norvegese illustre, Karl Ove Knausgård, allievo del neo-Nobel quando insegnava all’Accademia di scrittura di Hordaland. Negli anni scorsi Fosse ha pure spiegato di non condividere l’assegnazione del Nobel a personalità come Dario Fo e Bob Dylan, lontane dalla figura del letterato «puro», mentre in un dialogo con il «Corriere» alla Buchmesse 2019, poco dopo il Premio a Peter Handke, difese quella scelta in nome
della separazione tra arte e politica. Nato nel 1959 a Haugesund, nella regione dei fiordi, nel sud-ovest della Norvegia, Fosse ha ottenuto la residenza per meriti letterari nell’edificio reale di Grotten, a Oslo, ma si divide con l’Austria, dove possiede una casa con la seconda moglie di origine slovacca. A 7 anni rischiò di morire in un incidente, episodio che lo segnò, mentre più avanti si laureò in Letterature comparate all’Università di Bergen. L’esordio narrativo risale al 1983 con il romanzo Raudt, svartRosso, nero»); quello drammaturgico al 1992 con Qualcuno arriverà. Il titolo, ha chiarito l’autore, nacque in contrappo-
sizione ad Aspettando Godot di Samuel Beckett: gigante al quale è stato paragonato e di cui Fosse stesso ammette l’influenza ma, proprio per questo, la contestuale esigenza di «ribellarsi, come un figlio al padre». Con il poeta austriaco Georg Trakl e lo scrittore norvegese Tarjei Vesaas, gli altri debiti letterari dichiarati. Nella vasta e poliedrica produzione di Fosse, nel 1995 arriva Melancholia: dittico di monologhi di cui è protagonista il pittore norvegese Lars Hertervig. Su intuizione di Sandro Veronesi, l’opera viene pubblicata nel 2009 in Italia da Fandango, che due anni dopo replica con la favola moderna Insonni. Nel 2006, invece, Rodolfo Di Giammarco aveva curato il volume Teatro (Editoria e Spettacolo), che contiene opere di Fosse come E la notte canta (1997) e La ragazza sul divano (2002). Una rappresentazione di quest’ultima, diretta da Valerio Binasco, principale interprete italiano di Fosse, debutterà il 5 marzo al Carignano di Torino. È invece con Settologia, impresa narrativa di oltre 1.200 pagine senza mai un punto, divisa in 7 parti, che Fosse firma probabilmente il capolavoro narrativo. In Italia l’editore è La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi (che pubblicherà tutto il catalogo dell’autore): il primo libro, L’altro nome, è uscito nel 2021; il secondo, Io è un altro, che il «Corriere» ha letto in anteprima, arriverà il 10 ottobre; il terzo nel 2024. «È un lavoro in cui confluiscono temi e modi di tutta la mia produzione, ma in una luce
nuova», ha detto Fosse. Il protagonista è Asle, un pittore anziano, ex bevitore, che conta solo sull’amicizia di un altro Asle, di fatto un suo doppio, e di un pescatore. Scarna la trama, in un paesaggio
norvegese di mare e di neve. Lenta e avvolgente, mistica, la prosa. Quasi una preghiera, fatta di flashback, ripetizioni e visioni, mentre il protagonista scivola tra presente e passato, riflettendo sul senso
dell’arte, della religione, della vita. Nulla a che vedere con un romanzo tradizionale: «Cercavo una prosa lenta — ha spiegato Fosse —, così smisi con il teatro, e smisi di bere. Anche se poi, alla drammaturgia, sono tornato». Per quanto rifugga dall’autobiografismo, come Asle anche Fosse è stato un bevitore e ha
raccontato di avere smesso una decina di anni fa: «Non scrivo mai per parlare di me ma per liberarmene. Da questo punto di vista, la scrittura somiglia al bere. Ecco perché forse non ho mai scritto così tanto come dopo avere smesso con l’alcol. La letteratura può essere una forma di sopravvivenza». Una svolta è anche la conversione al cattolicesimo, intorno al 2012: «Da giovane — ha ricostruito l’autore — ero ateo. Poi proprio la scrittura, il chiedermi che cosa la determinasse, mi ha fatto uscire dal mio confortante ateismo. Ho iniziato a credere in ciò che può essere chiamato Dio. Ora, dopo un lungo viaggio, sono un cristiano praticante». Anche in questo caso, un percorso condiviso con il personaggio di Asle. Il quale nel libro riflette: «Considerarsi cattolici non è soltanto una questione di fede, ma è un modo di vivere la propria vita e nel modo che può somigliare all’essere un artista (...), perché entrambi creano, per dirla così, una certa distanza dal mondo mentre al contempo indicano qualcos’altro, qualcosa che è presente nel mondo (...) e qualcosa di lontano dal mondo, qualcosa di trascendente». Come fa la scrittura di Fosse.