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Poemi Focomelici
17 Settembre 2025

Poemi Focomelici

Alessandra Calanchi, «Girodivite»

Queste poesie qui raccolte, datate 1980-2024, ripercorrono la vita di un poeta anomalo, anticonvenzionale, autocanzonatorio, che infatti poeta non è, bensì autore, attore e regista teatrale. Molti spettacoli, molti premi, un documentario, e infine lo straordinario progetto Aldo Morto 54, di cui è stato ideatore, autore e interprete, restando in live-streaming per 54 giorni, autorecludendosi in una cella ricostruita su un palcoscenico, con una replica al giorno. Ma cosa c’è di strano? «se Pasolini o Mario Luzi hanno scritto anche teatro», dice, «potrò ben io scrivere poesia.»

Coraggioso, disinibito, irriverente, rivoluzionario, Timpano intitola «focomelici» i suoi «miserrimi versi» (parole sue) in quanto irregolari, incompiuti, fatti di ritmi e di una metrica sghemba, «tracce sbriciolate» di una vita che il lettore può solo raccogliere come le briciole di Hansel e Gretel, per trovare la strada nel bosco di quell’arrogante civiltà post-moderna, di quell’orrore liberista che ci ha nutriti di menzogne.

Io sono focomelica. Sono nata negli anni Sessanta, vittima della talidomide che ha colpito per fortuna solo un braccio, e ho saputo di esserlo solo in tarda età, perché non se ne poteva parlare. Eppure, focomelia è un termine che sarebbe piaciuto a una bambina curiosa come me, non mi sarei sentita offesa a sentirmi simile a una foca, un animale che adoravo.

E oggi sono orgogliosa che qualcuno – per giunta un Poeta! – abbia utilizzato questa metafora per descrivere la sua opera, fatta di nuvole e silenzi, di dichiarazioni d’amore come questa:

«Esser per te una biblioteca,
collezionare con amore un po’ i tuoi pezzi un po’ i ricordi» (p. 73)

e di versi crudeli e verissimi come questi:

«non andavano d’accordo.
Non riuscivano a lasciarsi
Non riuscivano a ammazzarsi.» (p. 125)

Mi manca il radio nel braccio sinistro, un osso di cui ho imparato fin da piccola a fare a meno; allo stesso modo, in questi poemi manca forse un elemento nascosto che li renderebbe omogenei, che gli darebbe forse la fearful symmetry di William Blake, ma siamo sicuri che li vorremmo veramente così perfetti, prevedibili, convenzionali?

Io ho sentito empatia e sorellanza per questi versi. Ne ho amato il pathos, l’ironia, le ripetizioni, i neologismi («crocerossinami, io ti prego»), le licenze grafiche («Aiuto Aiutoooooooooooooooo…»), le onomatopee, le domande esistenziali («Ma uno zombi, se pensa, ci pensa alla morte?»).

Che dire. Sono conquistata, e pronta a rileggerlo più e più volte. Mi sento quasi parte di questo libro, sono una pagina nascosta fra le altre, che vuole solo dire grazie.