La parola umanesimo è in perenne disequilibrio, sempre sul punto di cadere. Gli artisti non la frequentano volentieri. Temendo forse di passare per pericolosi antropocentrici, alcuni la evitano come la peste. Al contrario, Marco Lorenzi e Barbara Mazzi, fondatori del Mulino di Amleto, la espongono come vessillo del loro manifesto poetico: nel «paesaggio ingiusto e diseguale» che vedono attorno a loro, usano deliberatamente la parola umanesimo per contrastare «i sudditi di massa» e «i sudditi dell’élite».
Ne discutono con Laura Novelli e Ilena Ambrosio, due critiche teatrali e insegnanti di Lettere, che hanno avuto la brillante idea di scrivere un libro sul metodo di lavoro della compagnia torinese (Raccontare Il Mulino di Amleto – Per un teatro dell’ascolto, Cue Press), che negli ultimi anni si è distinta per il dispositivo scenico-tragico di Festen-Festa in famiglia (adattamento teatrale dell’omonimo film di Vinterberg, 1998) e ancora di più per l’ardore con cui ha messo in vita lo sconvolgente testo di Wajdi Mouawad, Come gli uccelli, trattato drammatico-filosofico sull’identità e la guerra (in Italia è pubblicato da Einaudi). Il risultato è un dialogo tra quattro – e più – umanisti che, attraverso il teatro, cercano disperatamente un modo per non finire, tutti, alla festa di Festen.