«Il palco è magia, rito e catastrofe»
Rafael Spregelburd, «il Fatto Quotidiano»
Il drammaturgo e regista Spregelburd: «Ogni spettacolo è un esperimento sul tempo e sulla vita»
Pubblichiamo uno stralcio di Sul mio teatro (Cue Press), raccolta di scritti di uno dei più influenti drammaturghi viventi: Rafael Spregelburd.
Delle diverse materie di cui è fatto il teatro, il tempo è senza dubbio una delle più ostinatamente misteriose. Addirittura mi piacerebbe azzardare che il teatro sia un esperimento pseudoscientifico sulla natura del tempo. Non solo è fatto di tempo, un tempo artificiale, ma oltretutto unifica in un tempo la storia sociale con quella individuale, e nel morire e rinascere a ogni replica mette in discussione la dispersione degli accadimenti nell’etere della casualità. Il teatro è una scodella di tempo da cui si beve un brodo primordiale. Da cui, ecco che molte definizioni di conformità teatrale si fanno strada brandendo un qualche concetto tecnico di tempo: ciò che la musica stessa fa con rigore (perché altrimenti non esiste), il teatro lo fa con ironia e imprecisioni. Nonostante ciò, la nostra stessa concezione del tempo, dei suoi utilizzi e addomesticamenti, cambia costantemente e, in quest’era di postumanizzazione e di reset delle condizioni di sfruttamento (ossia, dell’uso del nostro tempo in mani altrui), è probabile che i problemi ci risultino al contempo del tutto sconosciuti e radicalmente eterni…
In Tradimenti , Harold Pinter inaugura un esercizio formidabile. Racconta la storia di un matrimonio che comincia a sfaldarsi quando la moglie inizia a vedersi di nascosto con il migliore amico del marito. Pinter decide di raccontare questa storia ‘banale’ al contrario. La prima scena è quando gli amanti decidono di smettere di vedersi, risultato della noia e dell’entropia che ha usurato quell’amore fugace che li ha portati a eludere tutti i presupposti. Poi vediamo quando affittano un appartamento per potersi vedere senza che il marito sospetti eccetera. E così fino al finale, forse la scena più commovente mai scritta in lingua inglese, la scena in cui l’amico del marito, ubriaco il giorno stesso del suo matrimonio, dichiara il suo amore alla donna, senza sapere che abbiamo già visto tutte le tristi conseguenze di quest’atto umano, inesplicabile e palese. Cosa c’è di tanto commovente? L’argomento? L’amore, il matrimonio, il tradimento? No. Gli argomenti sono sempre gli stessi in teatro: la morte, l’amore, la pulsione sessuale. L’aspetto davvero commovente è che percepiamo il tempo come qualcosa di corrotto, capovolto, nuovo. E quando si capovolge il tempo, accade quanto di più affascinante per la mente razionale: la catastrofe. Siamo animali di ragione, per questo ci seduce tanto la catastrofe, diceva Eduardo del Estal. Quando si altera l’ordine degli accadimenti, semplicemente causa ed effetto agiscono in modo avvelenato; la freccia del tempo, la dispersione entropica delle nostre decisioni, sta al contrario, e allora disconosciamo tutto ciò che credevamo di conoscere: l’amore, il matrimonio, il tradimento, la morte del desiderio, ergo: la morte… Nel teatro lottano l’effimero contro l’eterno. L’attore nasce, vive e muore in ogni replica. La respirazione che precede il buio finale è sempre allegoria dell’ultimo respiro, la luce che graffia l’oscurità dell’inizio è analoga al parto e alla nascita. E poi, si ricomincia. Si può nascere e morire migliaia di volte? No. Solo in teatro. Per questo lo continuiamo a fare. È l’unica forma di dominio sul tempo che ci hanno regalato gli dèi prima dell’uscita di scena.