Logbook
Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.


Siamo asini o pedanti?
Probabilmente programmato da tempo ma, per una di quelle casuali coincidenze o interferenze del destino che, anche loro malgrado, assumono il significato di una testimonianza feconda, esce per l’editore Cue Press di Imola, quasi contestualmente alla morte di uno dei protagonisti di quella stagione, questo testo di fine anni Ottanta del secolo scorso, una delle drammaturgie di ‘snodo’ del percorso del Teatro delle Albe di Ravenna, diventato con il tempo uno dei suoi simboli.
Un testo che ha esordito nel 1989, anno topico di una rottura nella storia del mondo o addirittura, secondo qualcuno, della fine della storia stessa, ma capace di una straordinaria e paradossale attualità che ha le sue radici essenziali nella capacità profetica del Teatro delle Albe, in grado di vedere nel presente di allora il suo oltre di oggi, mai però in termini di apodittica affermazione ma in termini di dubbio che scava e smaschera, che accende e alimenta il motore della vera conoscenza che tutto sospende, soprattutto la finta sapienza. Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonno, e i loro primi amici senegalesi, partendo da storie diverse se ne erano fatti portatori dando vita allora a questo eterodosso organismo teatrale che è giunto sin qui mutando sempre senza mai cambiare.
Eretici e comunque dubbiosi sempre, amici di Giordano Bruno e Philip K. Dick e nemici di chi rifiuta di specchiarsi nel diverso da sé, cioè nel doppio che inevitabilmente lo accompagna. Come lascia intendere l’interessante prefazione di Oliviero Ponte di Pino, che correda il volume, un testo politico e dunque polittico (con due t) ovvero politttttttico (con sette t) in quanto riporta la politica alla sua vera natura che è lo stare dentro (e non sopra) e il vedere oltre. Palestra di recitazione e conoscenza per Ermanna, momento di ribaltamento per la scrittura polisegnica di Marco, è un testo con molti padri e soprattutto moltissimi figli, già arrivati o attesi.
Una ‘farsa filosofica’ infine che non adatta o adotta l’attualità, ma a cui l’attualità, anche quella più tragicamente vicina, si adatta per essere meglio compresa.
Collegamenti
Cue Press, l’editoria digitale è un business da primo premio
I migliori per sostenibilità del progetto, carattere innovativo e fattibilità. Così Cue Press si aggiudica il premio Impresa Creativa, il concorso orientato a sviluppare e favorire la nascita di startup. Tra le dieci idee imprenditoriali selezionate al termine di un percorso formativo di sviluppo, il progetto imolese pensato da Mattia Visani è stato selezionato fra i tre modelli di business più innovativi, ottenendo il premio di cinquemila euro. Di Cue Press si è già parlato. Cue in inglese significa «battuta d’entrata, attacco, suggerimento, imbeccata». E come tale entra nel mondo dell’editoria teatrale cercando di sconvolgerla.
Nasce alla fine del 2012. Visani, ultimo autore della Ubulibri di Franco Quadri, la fonda prima come associazione culturale, per mutarla poi nella prima casa editrice digitale italiana interamente dedicata alle arti dello spettacolo. Di recente ha inaugurato il sito internet www.cuepress.com, che vede impegnati una decina di collaboratori. Spiega Visani: «Più che un progetto avviato, possiamo dire che è operativo, speriamo di trovare sul territorio un terreno fertile per avviarlo nella maniera e nelle dimensioni che ci aspettiamo».
L’auspicio poggia sui riscontri più che positivi ottenuti fin dai primi momenti, con il riconoscimento del Premio Hystrio Anct (Associazione nazionale critici di teatro) che ha portato l’idea in finale, e la prima pubblicazione in Italia di Visita al padre di Roland Schimmelpfennig a concorrere al Premio Ubu come migliore novità straniera. Libri digitali, ebook e formati cartacei on demand, con distribuzione in 50 paesi. Sono queste le prospettive che hanno sbaragliato un settore di nicchia, vale a dire quello dell’editoria dedicata alle arti e allo spettacolo che, spiega Visani, «soffriva di un grande vuoto che noi abbiamo cercato di colmare». Come? «Sulla base delle nuove tecnologie e dei nuovi modelli editoriali, consci del fatto che i vecchi sistemi di settore non funzionavano più».
Colpa anche del sistema stesso, sostiene l’editore, se si è arrivati a un punto di collasso: «Era troppo forte il legame con modelli stantii e lontani dalle nuove forme. Che si è sommato a una crisi distributiva, economica e di idee».
Sostiene convinto Visani: «Noi almeno la crisi di idee possiamo tentare di colmarla».
Anticipa quindi le prossime: «Ci muoveremo anche verso il cinema e la musicologia. Siamo i primi in Italia ad applicare nuovi modelli editoriali legati a nuove tecnologie a un’editoria di settore. Naturalmente ci rivolgiamo in prima battuta al teatro perché il mio percorso è nato in questa disciplina».
Così come la distribuzione, che nel progetto di Cue Press ha in serbo importanti novità, sulle quali però Visani mantiene il più stretto riserbo. «Sono canali di vendita assolutamente nuovi, forse saremo i primi in Europa, coinvolgendo anche grandi teatri».
Infine: «Ci muoveremo anche su testi multilingue».
Ormai superato il libro, inteso come oggetto. Benvenuti – se ancora non ve ne foste accorti – nell’era digitale, e al libro come ‘pro-getto’, per raggiungere il lettore alla velocità di un clic.
Premio Impresa Creativa
Cue Press ha vinto il Premio Impresa Creativa 2014, un concorso promosso dalle province di Rimini e Forlì-Cesena per premiare le migliori iniziative imprenditoriali nel settore creativo.
Il premio riconosce Cue Press come il miglior progetto d’impresa dell’anno, evidenziando il valore innovativo e culturale della sua proposta editoriale.
Questo riconoscimento sottolinea l’impegno della casa editrice nel combinare creatività e tecnologia, offrendo contenuti di qualità nel campo delle arti dello spettacolo e sviluppando soluzioni editoriali all’avanguardia, come la piattaforma digitale per la pubblicazione di eBook e libri print on demand.
Il Premio Impresa Creativa testimonia il successo del progetto e il suo impatto positivo sul territorio, rafforzando la posizione di Cue Press come punto di riferimento nel panorama dell’editoria digitale.

Totò e Vicé di Franco Scaldati
Quando l’anno scorso, il 13 giugno 2013, Franco Scaldati è venuto a mancare, fatta la tara all’ipocrisia di chi, dopo averlo lasciato una vita senza un teatro, voleva magari dedicargli una strada o una piazzetta a Palermo, tutti coloro che gli sono stati vicino negli anni e hanno amato la sua arte si sono chiesti invece se e come il suo teatro avrebbe mai potuto continuare a vivere.
Pensando al teatro di Scaldati infatti è davvero difficile, se non proprio impossibile, separare dai testi l’emozione della scena, la ruvida profondità della sua voce, i silenzi abissali, il ritmo metafisico e straniante della sua regia: come poter far vivere tutto questo senza più l’autore a dargli anima? Come rendere possibile la fruizione del suo teatro trovandosi separate testualità e autenticità della perfomance? Come evitare che venga tradita la poesia di questi testi?
È da inquadrarsi in questa prospettiva problematica il libro Totò e Vicé curato dalla critica ennese Filippa Ilardo che è stato presentato per la prima volta in Sicilia, domenica 28 settembre, a Messina, nel contesto del SabirFest. Si tratta di un libro in formato digitale edito dalla casa editrice emiliana Cue Press che propone quella che una volta si sarebbe detta l’edizione critica di un testo d’autore, nel caso specifico di Totò e Vicé di Scaldati. Un testo portato in scena per la prima volta nel 1993 a Gibellina, poi nel 1995 al Biondo di Palermo e infine nel 2011, con uno strepitoso successo di critica e pubblico, da Vetrano e Randisi.
Da sottolineare l’interessante lavoro di questa giovane casa editrice che sta cercando di ripubblicare in formato digitale numerosi classici del teatro (italiano e straniero) novecentesco: testi preziosi, intorno ai quali la riflessione critica e l’operatività artistica sono tutt’altro che esaurite, ma che sono ormai introvabili nelle librerie. Oltre al testo di Scaldati, il libro contiene un approfondimento critico della stessa Ilardo, due interviste a storici collaboratori del drammaturgo palermitano (gli attori Gaspare Cucinella e Melino Imparato) e ancora un intervento di Dario Tomasello.
Spiega la curatrice: «Nella drammaturgia di Scaldati le parole sono geroglifici, intrecciano l’elemento fonico-acustico con quello plastico-visivo, il piano della scrittura con quello della rappresentazione, ma, soprattutto, instaurano un legame profondo con la terra e con i luoghi. È da questo contatto col sottosuolo che nasce il dialetto, assorto, cadenzato, lirico, ma anche terragno, arso, viscerale di Scaldati».
Collegamenti
L’orgoglio delle idee del Brecht regista
Ristampa in e-book con nuova prefazione a cura di Marco De Marinis di uno dei libri che ha portato all’attenzione del pubblico la capacità di lavoro sui testi non solo teorica di Brecht. Infatti Brecht regista. Memorie dal Berliner Ensemble, oltre a reggersi sulla riproposizione del diario che Hans Bunge (assistente di Brecht nella messinscena del Cerchio di gesso del Caucaso) redasse tra il 1953 e il 1954 e testimonianze di attori che lavorarono con lui, si sostiene sulla magnifica sapienza teatrale di Claudio Meldolesi (il più profondo conoscitore dei meccanismi della regia teatrale) e la collaborazione di Laura Olivi, dramaturg al Residenztheater di Monaco di Baviera. Il Brecht che viene fuori è un artista e intellettuale che non rinuncia alle proprie idee. Il taccuino di lavoro è fitto di ripensamenti, di un estremo interesse al dialogo e di saper comprendere che il limite dello scrittore, come del drammaturgo, è quello di lasciar liberi i personaggi creati e di non sapere dove andranno e cosa faranno.
Il trionfo dell’asinità: dalla prefazione di Siamo asini o pedanti? di Marco Martinelli
Come i primi apologhi composti da Marco Martinelli, Siamo asini o pedanti? evita ogni facile e consolatoria certezza. Rifiuta chiavi immediatamente utilizzabili, risposte univoche. A livello comunicativo, esplora e mescola diversi livelli di realtà e alterna varie forme di comunicazione: la fantascienza (come dice la didascalia iniziale, la pièce è ambientata a «Ravenna felice, anno… più in là»), il realismo, la favola natalizia che diventa sogno e incubo, l’apologo filosofico, la satira e la tragedia, il teatro, il circo, il cantastorie… Il finale è volutamente aperto, sospeso, quasi a troncare lo sviluppo narrativo ed escludere una facile ‘morale della favola’. Siamo per certi aspetti vicini al teatro postdrammatico teorizzato da Hans-Thies Lehmann.
La ricchezza delle invenzioni, la forma aperta, frammentata, intarsiata d’innesti, fanno di Siamo asini o pedanti? un potente nucleo generativo, da cui partono linee di forza che verranno riprese e rilanciate negli anni successivi. Accanto a quelle già suggerite, c’è per esempio la ‘non-scuola’, una pedagogia basata sul cortocircuito tra sapienza e stoltezza: «Non andavamo a insegnare», spiegherà Martinelli.
«Il teatro non si insegna. Andavamo a giocare, a sudare insieme. Come giocano i bambini su un campetto da calcio, senza schemi né divise, per il puro piacere del gioco, come capita ormai di vederli solamente in Africa, a piedi nudi sulla sabbia, o nel Sud d’Italia: al Nord è raro, i più sono irregimentati a copiare il calcio dei ‘grandi’, soldi e televisione. In quel piacere ci sono una purezza e un sentimento del mondo che nessun campionato miliardario può dare. La felicità del corpo vivo, la corsa, le cadute, la terra sotto i piedi, il sole, i corpi accaldati dei compagni, l’essere insieme, orda, squadra, coro, comunità, la sfera-mondo che volteggia e per magia finisce dentro la rete. Scuola e teatro sono stranieri l’uno all’altra, e il loro accoppiamento è naturalmente mostruoso. Il teatro è una palestra di umanità selvatica e ribaltata, di eccessi e misura, dove si diventa quello che non si è; la scuola è il grande teatro della gerarchia e dell’imparare per tempo a essere società».
Dopo l’asino, sarà il turno di altri animali, a cominciare dagli Uccelli di Aristofane per arrivare alla muta di cani ululanti stipati nel sottopalco dell’Isola di Alcina (2000). Le Albe porteranno in scena nel 2000 il Padre Ubu e la Madre Ubu, creati da Alfred Jarry quando era ancora studente al liceo di Rennes: simbolo della stupidità e dell’arroganza del potere, ma anche incarnazione di una potenza sovversiva e liberatoria, Ubu segnerà a lungo il percorso del gruppo, ancora una volta dalla Romagna all’Africa.
Come drammaturgo, Marco continuerà a lanciare sguardi sull’Italia, tra grottesco e denuncia, con I Refrattari (1992) e più di recente con Pantani (2013). Come (anti)pedagogo inventerà nel 2011 Eresia della felicità, un ciclo di spettacoli – o meglio un format – che mobilita le energie di decine e decine di «bambini pieni di grazia, adolescenti sgraziati in bilico tra l’età dell’oro e l’età del grigio (per questo, forse, ancor più commoventi)», arruolati per «una creazione quotidiana sotto l’insegna della non-scuola del Teatro delle Albe. Gli adolescenti in maglietta gialla imbracceranno i versi crepitanti di Vladimir Majakovskij, scritti quando lui pure era un giovane ribelle, e sentiva la tempesta nell’aria». Rivisitando Pinocchio (2014), altri adolescenti si ritroveranno trasformati in asini. Senza dimenticare Bottom e la sua metamorfosi asinina nel Sogno di una notte di mezza estate (2002).
Quell’asino parlante e mutante continua a ragliare e scalciare. Dà forma a inedite potenzialità. Partorisce e dissemina le sue creature. Come spiega Coribante, uno dei personaggi della Cabala del cavallo pegaseo di Giordano Bruno: «Multa igitur asinorum genera: aureo, archetipo, indumentale, celeste, intelligenziale, angelico, animale, profetico, umano, bestiale, gentile, etico, civile ed economico; vel essenziale, subsistenziale, metafisico, fisico, ipostatico, nozionale, matematico, logico e morale; vel superno, medio ed inferno; vel intelligibile, sensibile e fantastico; vel ideale, naturale e nozionale; vel ante multa, in multis et post multa».
Collegamenti
Tutti i palchi portano a Parigi
Parigi val bene una messa in scena: con le sue centinaia di sale, le sue decine di teatri pubblici e privati, i suoi numerosi festival ed eventi, la Ville Lumière può, a buon diritto, essere considerata una delle capitali mondiali dello spettacolo dal vivo. Non a caso, la piccola casa editrice Cue Press ha deciso di lanciare una collana di Guide Teatrali, curata da Andrea Porcheddu, iniziando proprio da Parigi. La città dei teatri, a firma di Valentina Fago.
Tra prontuario turistico e bigino storico-geografico, questo gustoso libro di viaggio mappa l’intero circuito teatrale metropolitano, ramificato capillarmente in tutti i quartieri, e riporta numeri utili, informazioni di servizio e chicche per giramondo dei palcoscenici: dai calendari delle stagioni ai costi dei biglietti, dalle kermesse estive alle letture indispensabili, da orari e indirizzi alle dritte enogastronomiche per il dopo recita…
Oltre a un breve excursus storico, la guida è articolata in capitoli per arrondissement: si parte dal centro con La maison de Molière, ovvero la Comédie Française e la sua compagnia di sessanta attori permanenti, strutturata ancora secondo l’antica e aristocratica gerarchia, e si arriva al T2G Gennevilliers nelle banlieues, zigzagando per gli stabili nazionali, i café concert, i cabaret, l’Opéra e l’Odéon, il Théâtre des Bouffes du Nord e la Cartoucherie, i circhi e gli spazi underground, i centri di drammaturgia contemporanea e il Lévi-Strauss, dove assistere a canti e balli dei pigmei del Congo o alle marionette vietnamite. Ma non è tutto oro quel che luccica, neppure nella brulicante Ville Lumiére: la Francia è stata, infatti, tra i primi paesi a decentralizzare l’offerta, portando il teatro in periferia. Tuttavia, chiosa Stanislas Nordey nel suo prezioso contributo critico, l’operazione «non è riuscita, in sessant’anni, a toccare le fasce sociali basse e mediobasse. E questo lo reputo un fallimento».
L’editoria digitale sbarca in Sicilia
Ci sono voluti circa trent’anni. Non pochi. Ma spesso il teatro è così, mette negli scatoloni in soffitta opere che ancora molto avrebbero da dire. Non solo agli spettatori. Trent’anni si diceva, per vedere pubblicati per la prima volta alcuni lavori di Enzo Vetrano e Stefano Randisi concepiti fra il 1982 e 1987. Ovvero Il Principe di Palagonìa, Mata Hari a Palermo e L’isola dei Beati, così intrisi della terra d’origine dei due attori da essere stati giustamente raccolti in una ‘trilogia siciliana’. Idea della Cue Press, editrice digitale (ma non solo), che ha pensato bene di riprendere in mano quel periodo folle ed esilarante collocabile nel primo decennio di vita della coppia (insieme dal 1976). Prima della fondazione dei Diablogues (1995), ancor più dalla recente e fortunatissima ricerca sui classici. Una Sicilia peraltro solo ‘ricordata’, visto che all’epoca Vetrano e Randisi l’avevano già lasciata da anni. Luogo della memoria declinato in sketch, suggestioni, spunti cesellati in tre diverse cornici: il racconto storico, quello fantascientifico e addirittura una spy story. Insomma, al solito ci si confronta con un ventaglio di linguaggi teatrali, sempre in bilico fra realismo e parodia. Lettura salutare. Che riappacifica con il teatro.
Ma Vetrano e Randisi tornano indirettamente in un’altra pubblicazione, sempre per i tipi della Cue Press. Ovvero l’edizione riveduta e integrale di Totò e Vicé, il poetico testo di Franco Scaldati divenuto cavallo di battaglia dei due artisti palermitani. Per un libro che oltre a offrirsi come ulteriore materiale di studio, pare un sentito omaggio al poeta siciliano. Grazie anche ai due saggi che chiudono il volume, firmati rispettivamente da Dario Tomasello e dalla curatrice Filippa Ilardo. A testimonianza della vivacità della Cue Press, giovane casa editrice fondata da Mattia Visani, che nel proprio catalogo può già vantare lavori di Gerardo Guccini, Giuseppe Liotta, Fausto Malcovati, Claudio Meldolesi, oltre a opere dei grandi teorici del passato e testi drammaturgici.
Libri di carta addio? Intervista (digitale) a un giovane editore
Sarà l’inevitabile supporto di studio del nostro immediato futuro, non c’è dubbio. L’ebook è lo strumento più agile da portare in giro e non solo, oltre che supporto ideale per lo studio di ogni genere e grado.
Il libro cartaceo, però, potrebbe comunque continuare a trovare un suo mercato, soprattutto se guardiamo a prodotti di eccellenza coltivati da alcune case editrici di valore che producono, ad esempio, piccoli gioiellini per l’infanzia, convinti che sia proprio ai nativi digitali che occorra pur sempre offrire un’alternativa a quello che sarà per loro già uno strumento d’abitudine, quotidiano: prodotti anche di alto livello che potranno offrire un’ulteriore fonte di arricchimento per il linguaggio dei più piccoli, potenziando processi cognitivi diversi rispetto a quelli stimolati dal digitale. Perché del libro cartaceo, insomma, ci potrebbe pur sempre essere voglia. O è già nostalgia?
Ma osserviamo qualche cifra. Il rapporto sull’editoria italiana redatto a ottobre dall’Associazione Italiana Editori ci racconta che nel 2012 (annus horribilis per il settore) la produzione editoriale, in Italia, è stata di 61.000 titoli (comunque tanti, troppi, se guardiamo alla qualità), con 220 milioni di copie stampate e una diminuizione generale del prezzo medio di un libro. In questo quadro sono raddoppiati i titoli digitali: a maggio 2013 erano 60.589 (ossia l’8,3% dei titoli in commercio). Nel 2012 la lettura di ebook è cresciuta, riaggiungendo complessivamente il 3% della popolazione con più di 14 anni, e interessando 1,6 milioni di italiani.
Il rapporto dell’AIE (Associazione Italiana Editori) ci dice anche che crescono le case editrici (hanno raggiunto quota 5.074 nel 2012); tra di loro c’è anche Cue Press, editoria digitale per il teatro, prima casa editrice di argomento teatrale a operare principalmente nell’ambito del digitale, nata proprio a fine 2012 a Imola. A un anno di distanza e due libri editi, chiediamo a Mattia Visani, direttore editoriale, di tracciare un bilancio di questi mesi di attività e degli sviluppi futuri.
Avete festeggiato il mese scorso il primo compleanno. Traccia un bilancio di questo anno di vita: gioie e dolori.
Cue Press è nata ufficialmente il 5 ottobre del 2012, anche se stiamo lavorando al progetto da circa un anno e mezzo. Guardando a questo percorso con distacco, è difficile distinguere in maniera così netta ‘gioie e dolori’, perché la sensazione di costruire qualcosa di solido e di valore è davvero entusiasmante. Ti ripaga delle ristrettezze in cui si è costretti a muoversi, delle giornate ininterrotte di lavoro, delle notti insonni e dall’assenza forzata dal palcoscenico, attività che in questo momento riesco a coltivare solo privatamente o nei ritagli di tempo.
Dato per assodato che l’Italia non sia paese di forti lettori e viva di congeniti ritardi, il boom degli ebook non c’è ancora stato. L’immediato futuro potrebbe però svilupparsi su due binari paralleli: gli ebook sono perfetti per lo studio, mentre a livello di ‘piacere’ il cartaceo potrebbe ancora avere delle cose da dire.
La tua affermazione ha già un sapore ‘nostalgico’ e mi pare che, negandolo, affermi quanto ormai appartiene alla coscienza di tutti: che il futuro del libro sarà nel digitale. Per quel che riguarda il mercato librario, personalmente, credo che il cartaceo scomparirà. Ciò non vuol dire che non esisteranno più libri di carta. Esiste infatti una memoria storica fatta di archivi cartacei. La carta non scomparirà tout court, ma semplicemente uscirà dall’uso. Per quel che concerne il mercato statunitense e quello anglosassone, i dati parlano di un sensibile avvicinamento tra il digitale e la carta. In alcuni casi di un sorpasso del digitale. Credo sia soltanto una questione di tempo.
Perché la generazione dei nativi digitali è ancora piccola…
L’editoria digitale è allo stadio di sviluppo 0.8. Il futuro del digitale non sarà l’e-pub, il Kobo o il Kindle (tanto per citare gli esempi più celebri), formati e tecnologie con scarse possibilità in termini strettamente editoriali, e molto rudimentali rispetto a quello che stiamo sperimentando. Proprio qualche giorno fa, la Sony ha ritirato dal mercato statunitense il suo e-reader… Si guarda al futuro. E le prospettive, in questo campo, sono davvero vaste ed entusiasmanti. Ecco invece un dato che vale la pena sottolineare: presto anche nella scuola primaria cominceranno le adozioni di libri digitali. Questo significa che nel giro di dieci anni una generazione di web nativi leggerà quasi esclusivamente in digitale e, molto tempo prima, questo tipo di lettura sarà un’abitudine consolidata tra diverse generazioni di lettori.
Molti identificano il libro come un piacere legato anche al suo lato tattile, alla nostra abitudine di sfogliarne le pagine e ‘vederlo’, insomma al suo aspetto fisico ed estetico in senso più ampio. Per questo il libro cartaceo continua a piacere agli italiani. Ma perché cartaceo e digitale devono per forza farsi la guerra?
Credo che entrare in ambito ‘sensoriale’ sia molto pericoloso, anche se considerazioni come le tue sono, oggi, molto tranquillizzanti per i lettori. Io credo che sia solamente una questione di abitudine, e che anche i ‘sensi’ siano veicolati e condizionati dalle abitudini. Ciò è testimoniato dalla storia dei supporti, prima ancora che dalla storia del costume: dalla tavoletta di argilla, passando per i segnali di fumo e Gutenberg, fino all’ipertesto per tornare al tablet: «Reinventeranno la carta» mi ha detto Nando Taviani (autore del nostro catalogo) mentre gli parlavo dell’ereader del futuro. Certo siamo tutti molto legati alle vecchie abitudini. La potenzialità del digitale, torno di nuovo alle tue parole, è già negli occhi e nella fantasia di tutti.
Per fare un paragone grossolano, l’avvento imperante della tv non ha però ucciso la radio… Gli ebook avranno comunque grandi potenzialità in ambito specialistico, rendendosi ottimi strumenti per lo studio, a ogni livello.
In questo ambito, anche in Italia, sono stati realizzati tentativi davvero rilevanti. Su queste basi struttureremo presto la nostra offerta tecnologica. Sul piano aziendale, per la prima volta dopo molto tempo, il digitale permette di costruire una progettualità sana, sostenibile, mentre l’economia del cartaceo (fatta eccezione per alcuni grandi editori) è in larga parte costruita sul debito. Insomma, le solite vecchie abitudini.
Cosa c’è dietro questo nuovo tipo di editoria? Raccontaci un po’ come avviene, nella pratica, il lavoro.
Non è semplice rispondere a questa domanda perché ogni libro ha le proprie specificità. In generale esistono due tipologie fondamentali di documenti: quelli che hanno alle spalle un file di testo editabile (.doc, .rtf, eccetera) e quelli che non sono riconducibili a questo genere di formati, libri cioè che appartengono a un’epoca pre-tecnologica. Il ‘recupero’ dei migliori testi che appartengono a questo universo è uno degli aspetti per cui si distingue la nostra offerta. A ciò si aggiungono le nuove proposte editoriali, che appartengono alla seconda tipologia di documenti. In questo caso il lavoro è molto meno impegnativo, anche se ugualmente attento e ponderato (lontano quindi dal pressappochismo con cui spesso si identifica il mondo del web), molto più simile nei tempi e nel processo a quello dell’editoria tradizionale. Fermo restando una diversa destinazione e strumenti differenti. Su questi presupposti stiamo organizzando quattro collane: saggi, drammaturgie, guide turistico-teatrali (serie diretta da Andrea Porcheddu) e testi brevi. L’idea è quella di muoverci anche verso altri ambiti della conoscenza (cinema, fumetto e altro). Il progetto è orientato, infatti, oltre che alla scalabilità anche alla riproducibilità.
Come fate a sopravvivere? Chi vi supporta?
Lo sforzo di partenza è grande e non ancora supportato dal mercato del libro digitale, che in Italia non supera il 5%. Fortunatamente stiamo trovando il sostegno di persone, aziende e istituzioni che devono essere ringraziate. Penso al Comune di Imola, alla Banca di Imola, alla Fondazione della Cassa di Risparmio di Ravenna e a Con.Ami, che hanno reso possibile questa nascita. Non posso dimenticare la Biblioteca di Imola, la Staffette e soprattutto Chia Lab, che sta costruendo la nostra identità grafica e tecnica. Il Dams di Bologna è stato un importante interlocutore, tra gli altri, Marco De Marinis, Massimo Marino e Gerardo Guccini, la persona che più di tutte ha creduto in questo progetto. Voglio ringraziare anche Marco Martinelli e il Teatro delle Albe, da sempre attenti a quanto di importante avviene sul territorio regionale e tra le giovani generazioni. Poi ci sono collaboratori e amici ormai ‘storici’ come Marco Ugolini, Alice Moro, Anna Cox, Sergio Lo Gatto e altri che hanno appena cominciato a dare il loro contributo. Tutte persone di grandi qualità professionali che lavorano con me a un comune progetto. Questo, insieme al nostro patrimonio culturale, è il capitale di Cue Press.
Al momento avete alle spalle due pubblicazioni: La danza e l’agitprop di Eugenia Casini Ropa e, quest’estate, Brecht regista di Claudio Meldolesi e Laura Olivi. Cosa avete in mente per le prossime pubblicazioni?
Sarebbe un lungo elenco. Posso solo dire che tra poco cominceremo con veri e propri annunci e molte persone rimarranno a bocca aperta.
La Cue Press si prefigge anche di ripubblicare testi non più disponibili o di difficile reperibilità. Dicci una ‘chicca’ che vorresti riproporre.
Sarebbero tanti i testi e gli autori da ricordare. Insieme a quelli di Franco Scaldati, Cruciani e Meldolesi, un testo simbolico è sicuramente Il teatro e la città di Ludovico Zorzi, che Einaudi pubblicò nel 1977.
Collegamenti