Il libro
Oreste ha ucciso la madre Clitemnestra e dal giorno del delitto giace malato e ormai al limite della follia accucciato in uno scatolone.
La sorella Elettra lo assiste.
Entrambi attendono che la città pronunci il suo verdetto di morte.
Unica speranza: Menelao, fratello del padre.
Quando questi si rifiuta di aiutarli e la città li condanna, fratello e sorella, cui si è aggiunto l’amico Pilade, decidono di tentare il tutto per tutto.
In questo Oreste di Daniele Timpano, filologicamente reinventato a partire dalle traduzioni ottocentesche e novecentesche dell’originale euripideo, albeggia quella stessa movenza profondamente anti-catartica, nella quale la catarsi si rivela uno scaltro dispositivo di mistificazione collettiva, che si ritroverà nella gran parte dei testi successivi del drammaturgo romano.