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Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

Immagine di fine volume gigi e bob al palazzo dei congressi di taormina per il v premio europa per il teatro assegnato a wilson 3 6 gennaio 1997
25 Novembre 2022

Gigi Giacobbe, Bob Wilson in Italia

Massimo Bertoldi, «Il Cristallo On Line»

Mancava un libro dedicato allo spettacolo di Bob Wilson capace di darne ampia visibilità divulgativa, in aggiunta agli interventi critici di sapore specialistico e accademico. La lacuna è colmata da questo lavoro, agile e assai interessante, di Gigi Giacobbe, che ricostruisce gli allestimenti di Bob Wilson in Italia realizzati dal 1994 al 2022.

Dichiara il regista texano: «Il Teatro? È la somma di tutte le arti». In questa idea di teatro totale si incontrano e coesistono il movimento del corpo, la parola, la luce, il suono, le immagini, disponendosi e interagendo su un piano narrativo che supera la centralità del testo letterario per trasportare lo spettatore in una dimensione di incanto atemporale in un universo di bizzarra fantasia. In merito all’alchimia dei colori e dei movimenti coreografici dei suoi spettacoli, Wilson sottolinea che l’attore in scena «è estremamente formale, non deve essere spontaneo, deve essere immediatamente riconoscibile in quanto movimento artificiale creato per il teatro». Altri e simili intenti d’arte, basilari per inquadrare la ricerca sperimentale condotta da questo straordinario regista, tra i maggiori e innovativi della scena mondiale contemporanea, si leggono nella prima parte del volume di Giacobbe.

Dal discorso teorico si passa alla verifica della sua materializzazione sul palcoscenico attraverso l’occhio critico di osservatori eccellenti. Achille Bonito Oliva riconosce nella struttura del Teatro–totale–immagine l’architettura creativa di uno «smontaggio, di un’atomizzazione del gesto» definito nel rallentamento e nella ripetizione, talvolta con effetti dilatati, dell’azione dell’attore, secondo uno schema che in parte rinvia alle suggestioni esercitate dal Teatro Nō giapponese o si avvicina alle composizioni musicali di John Cage.

Il sipario sullo spettacolo wilsoniano Giacobbe lo apre accorpando, in ordine cronologico, le sue stesse recensioni, scritte con competenza e minuzia critica. È come entrare nel mondo delle meraviglie, a partire dall’iniziale Alice del 1994 e da Hamlet a monologue, presentato alla Biennale Teatro di Venezia nel 1995, interpretato dallo stesso Wilson in uno spazio scenico che si colorava di azzurro e di rosso. Oppure Woyzeck di Georg Büchner visto a RomaEuropaFestival nel 2002 e «recitato e cantato da formidabili attori-cantanti danesi», sottolinea Giacobbe, che poi ricorda la magistrale prova di Adriana Asti nel beckettiano Giorni felici al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 2009. Alle spalle dell’attrice, con il «viso bianchissimo interrotto dal rosso del rossetto e dal suo generoso decolleté su un vestito grigio-azzurro», c’è un fondale bianco accecante e interrotto talvolta da effetti azzurri e rosa.

Se memorabili rimangono I Sonetti di Shakespeare allestiti ancora a Spoleto nel 2010, altrettanto vale per Lulu di Wedekind, accompagnata dalle musiche di Lou Reed, con la protagonista caratterizzata da «immutabile, […] faccia infarinata e pesante trucco», come se fosse sul set di un film in bianco e nero.

Altro spettacolo-manifesto della cifra stilistica di Wilson è Odyssey al Piccolo Teatro di Milano nel 2013: è un susseguirsi di magie illuminotecniche che avvolgono i personaggi omerici calati in un ambiente scenografico e sonoro in continua trasformazione. Grandi emozioni e suggestioni visive sprigiona la messinscena di Hamletmachine di Heiner Miller, ancora a Spoleto nel 2016. In merito, Giacobbe evidenzia la performance di 35 giovani attori dell’Accademia Silvio d’Amico, simili ad «aure metafisiche senza tempo».

Si tratta di spettacoli di grande eleganza stilistica e formale, declinata da Wilson in una sintassi drammaturgica sempre mutevole, di continua ricerca, tanto che lo stesso regista afferma: «spesso la gente mi chiede di cosa tratta il mio teatro; generalmente rispondo che non lo so. […] per me l’interpretazione non spetta al regista, all’attore o all’interprete: l’interpretazione spetta al pubblico».

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Pirandello famiglia
1 Novembre 2022

Un padre ci vuole

Gabriella Congiu, «Pirandelliana»

Ci sono scritti che risuonano come un dialogo mai avviato, un complesso insieme di relazioni che riguardano le infinite realtà, i tanti rimpianti, le parole mai dette di una dialettica sospesa. Luigi Pirandello e Stefano, il figlio primogenito, ovvero Stefano Pirandello, il figlio paterno. Come da titolazione del saggio di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, in cui i due studiosi siciliani ricompongono la drammaticità del rapporto familiare, caratterizzato da un’imprescindibile intensità e da un’autentica tensione etica.

Lo scritto apre la pubblicazione del testo di Stefano Pirandello Un padre ci vuole (Cue Press) interamente giocato sull’inversione dei rapporti fra un padre, Ferruccio, e un figlio, Oreste, un legame conflittuale e indissolubile tale «da rendere volutamente fallimentare qualunque tentativo di fuga», come avvertono i curatori. Volume prezioso perché risponde alle aspettative di quanti oltralpe manifestano un non effimero interesse per il dialogo umano ed intellettuale al fondo di ogni successiva indicazione critica. Nel suo non volersi sottrarre alla spietata complessità del rapporto padre-figlio sostanziato d’immedicabili ferite dell’anima, Stefano mette a nudo tutta la sua poderosa fragilità; che, se per un verso lo induce ad un contrasto drammatico, per l’altro ne sottolinea, all’origine, la volontà di non volersi fare da parte e retrocedere dalle tante private aspettative. La commedia appare nella doppia versione in italiano ed in inglese All You Need is a Father (Cue Press), con traduzione di Enza De Francisci e Susan Bassnett. Si tratta dell’ulteriore tassello della preziosa operazione di circolazione plurilingue avviata da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, da anni impegnati nel recupero storico e filologico di Stefano Pirandello.

Già tradotti in più lingue, i testi, per mantenere inalterato il sapore corretto della vis espressiva, necessitano di una traduzione che superi lo steccato del bello/brutto, infedele/fedele, operando piuttosto nel mantenimento della ratio testuale. Con l’attuale, le due traduttrici hanno condotto un’operazione di vasta portata, assicurando al testo una pregnanza linguistica e storica di ampia gittata. Il risultato è stato il recupero della reale essenza del prodotto testuale grazie all’accuratezza linguistica e storica inserita in una linea traduttiva che restituisce al testo la sua essenza.

Enza De Francisci, dell’Università di Glasgow, direttrice del programma internazionale di Translations Studies in collaborazione con l’Università di Nankai in Cina, è titolare della complessa operazione di traduzione insieme a Susan Bassnet, già lettrice alla Sapienza – Università di Roma e all’Università di Lancaster, e docente di Letterature comparate all’Università di Glasgow, nel recupero di nessi storici e linguistici magari desueti. Con un lavoro prezioso che è facile riconoscere quale modello di come oggi si dovrebbe fare una traduzione.

Diversi e compositi gli elementi che costituiscono la globalità di una traduzione e tali da sottolineare l’importanza del traduttore in quanto mediatore linguistico. Ma anche voce dialogante con il testo, che accompagna il lettore nella comprensione dello scritto, con la capacità di rendere nella lingua di arrivo il messaggio dell’autore, compensando con la propria esperienza e abilità le differenze a volte profonde che esistono tra le due lingue, sia a livello sintattico sia terminologico. E tutto questo sottolinea senza dubbio l’importanza culturale del ruolo del traduttore; il suo difficile compito è di trasmettere il testo originale a un nuovo pubblico che ha lingua, cultura e conoscenze differenti, mantenendo il rispetto sia per la lingua di partenza sia per la lingua di arrivo.

La traslazione di un testo da un contesto linguistico-culturale a un altro è operazione delicata che comporta innanzitutto il rispetto per il testo originale e per il messaggio da veicolare. Ecco perché la traduzione testuale deve essere un’attività collaborativa tra lo scritto e chi lo traduce. Fondamentale è che il traduttore stabilisca un registro stilistico non univoco ma per ogni singolo personaggio, ed è quanto hanno fatto le due traduttrici, affrontando financo il problema di come attualizzare una lingua che per forza di cose rimane ancorata al tempo dell’ideazione e della resa progettuale.

Il diffuso interesse per l’opera di Stefano Pirandello si segnala all’estero grazie al numero non indifferente di traduzioni nelle più svariate lingue. Non mera operazione di traslazione linguistica, ma un’autentica mediazione e negoziazione culturale, un interagire costante con il testo di riferimento, di cui è prioritario fornire la dimensione di autenticità, pur nella complessità del rendere nel paese della traduzione la reale cifra dello scritto.

Si legge nell’introduzione: «Stefano molto deve, e non potrebbe essere altrimenti, al magistero paterno rimanendo tuttavia schiacciato dal peso di una dittatura famigliare e letteraria», da cui è giunto il momento di affrancarlo e da cui il fratello Fausto, invece, si era sottratto scegliendo una via artistica differente, quella della pittura.

Sarah Zappulla Muscarà mette a fuoco il personaggio di Stefano scrittore e drammaturgo, del tutto autonomo pur nell’apparente similarità tematica che lo accosta al padre. Una vita dolente e travagliata quella di Stefano, vittima di un dramma destinato a ricomporsi soltanto negli anni. Affrontando la disamina dell’odierna operazione culturale, la studiosa accademica evidenzia innanzitutto la necessità di rispondere alla curiosità che all’estero si registra intorno ai nomi dei due Pirandello. Già tradotti in più lingue, i testi, per mantenere inalterato il senso della scrittura, si avvalgono di un intervento mai arbitrario; al contrario, in assoluta consonanza con il pensiero dello scrittore. Ci dice Sarah Zappulla Muscarà: «Quella di oggi in inglese è una traduzione di pregio per la quale le due traduttrici hanno impiegato accuratezza linguistica e storica, inserendosi in una linea traduttiva che restituisca al testo la sua essenza».

I canali di attualizzazione filologica, la declinazione del rapporto dimidiato padre/figlio, il recupero di nessi storici e linguistici, oltre che leggersi come un lavoro egregio, diventano, afferma Enzo Zappulla, Presidente dell’Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano: «Un modello di come oggi si dovrebbe fare una traduzione».

La commedia Un padre ci vuole, curata da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, è apparsa nella traduzione in francese di Myriam Tanant (Parigi, L’avant-scène théàtre, 2008); in quella greca di Anteos Chrisostomides (Atene, ed. Kastaniotis, 2012); in quella bulgara di Daniela Ilieva (Sofia, 2014); in quella serba di Dusica Todorovic Lakava («Revue de philologie», Filoloski fakulter, Belgrado, xliii, 2, 2016); in quella araba di Amer El Alfi e Naglas Waly (Cairo, Akhbar Al Yourn, 2016 con testo italiano a fronte, Catania, Edizione Ho.u.se, 2017); in quella spagnola di Vincente González Martín (Ediciones de la Universidad de Salamanca, Salamanca, 2017); in quella inglese di Barbara McGilvray, introduzione di Donatella Cannova (Wellington, New Zeland, in association with Istituto Italiano di Cultura, Sydney, Australia,2017). Cfr. al riguardo Sergio Sciacca, Stefano Pirandello e i suoi traduttori: «Un padre ci vuole», «Pirandello Studies», 41, 2021, pp. 154-169.

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Sandro garzella foto di michele lischi 1
1 Novembre 2022

Il corpo in testa

«Hystrio», XXXV-4

L’attività di Alessandro Garzella viene presentata tramite un lavoro difficile da definire, se non – forse – per via negativa, come nota Porcheddu nell’introduzione. E se il libro «non è un romanzo, non è un racconto, non è un saggio, non è un manuale, non è una testimonianza, non è un pamphlet, non è un diario intimo ma è tutte queste cose insieme», è proprio in questa complessità che troviamo il modo per rispecchiare l’attività di un artista difficile da etichettare.

Tennessee williams
1 Novembre 2022

Tennessee Williams. Modernismo in t-shirt e i rinnovamenti del teatro

«Hystrio», XXXV-4

Grazie ai suoi personaggi, eroi e antieroi che emergevano dal contesto dell’America del secondo dopoguerra, Tennessee Williams diede vita a un’estetica drammaturgica innovativa e rivoluzionaria. Attraverso l’analisi dei suoi personaggi, il volume disegna un ritratto a tuttotondo, umano e artistico, dell’autore statunitense di alcuni degli indiscussi capolavori della drammaturgia del Novecento.

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1 Novembre 2022

L’attore e il volto

«Hystrio», XXXV-4

Il volume raccoglie una selezione di saggi del critico europeo Leif Zern, mescolando ricordi autobiografici, recensioni a spettacoli teatrali, piccoli ritratti del mondo del cinema, analisi teoriche sull’arte attoriale. Da Ingmar Bergman a Lars Norén, fino ad autentici pilastri della tradizione scenica come Louis Jouvet, lo sguardo di Zern si sofferma sulla recitazione, l’immedesimazione dell’attore, in un percorso dove «le emozioni non sono innate ma conquistate con un processo di appropriazione».

Vittorio gassman
1 Novembre 2022

Gassman. Oltre il palcoscenico

Pierfrancesco Giannangeli, «Hystrio», XXXV-4

Un Gassman a tuttotondo. Vittorio, attore poliedrico capace di cavalcare i mezzi che la sua epoca gli offre, esce vincitore grazie al ritratto che ne fa Arianna Frattali, nel senso che il suo essere attore totale – dalla voce straordinaria e dalla fisicità imponente – gli consente di dominare la comunicazione dei suoi anni. E sì, perché l’attore è colui che comunica per eccellenza, anche più di altri professionisti, poiché la sua arte è prima di tutto relazione con il pubblico, da quello più affezionato a quello occasionale.
Nel caso di Vittorio Gassman vale molto più il primo del secondo, in quanto è stato l’artista forse più conosciuto e amato del suo tempo. La studiosa ci offre un taglio preciso, costruito su alcuni saggi (un mix tra quelli già pubblicati e gli inediti) che colgono i momenti essenziali, di svolta, della carriera lanciata di Gassman attore di teatro nel momento in cui si affermano il cinema e la televisione, senza dimenticare il rapporto con la stampa. A uscirne è il profilo di un artista curioso e generoso, che amplifica il senso dello stare in scena anche oltre il palcoscenico, facendo tesoro di una tradizione antica che lui proietta, senza risparmiarsi, verso il mondo nuovo.

1 Novembre 2022

Beckett fra le righe. Appunti di lavoro

Pierfrancesco Giannangeli, «Hystrio», XXXV-4

Sentite questa: «Il teatro per me è prima di tutto svago dal lavoro sulla narrativa. Abbiamo a che fare con un certo spazio e con persone in quello spazio. Questo è rilassante». La frase la pronunciò Samuel Beckett parlando con Michael Haerdter, suo assistente per la messinscena di Finale di partita allo Schiller Theater di Berlino, nel settembre del 1967. A riportarla è Stanley E. Gontarski nell’introduzione alla pubblicazione del quaderno di regia dedicato appunto al testo e alla sua revisione da parte dell’autore, in versione italiana meritoriamente pubblicato dall’editore Cue Press. Lasciando da parte il piacere del dettaglio che tale revisione produce, insieme alla pura emozione suscitata dal poter leggere gli appunti nella scrittura di Beckett – cose preziose che si devono lasciare alla relazione personale del lettore con il libro – bastano queste parole per capire come anche un autore considerato, a buon diritto, uno scrittore di letteratura, comprenda la necessità di un’altra grammatica quando si tratta di uno spettacolo. Insomma, anche Beckett venne rapito dalle necessità della «scrittura scenica», indispensabile sviluppo della «scrittura drammaturgica», poiché chi scrive per il teatro, o quando si scrive per il teatro, lo si fa per essere rappresentati piuttosto che letti. In precedenza era accaduto a un altro immenso autore, il nostro Pirandello, che a contatto con gli attori, in verità più Ruggeri e Melato (con sullo sfondo Talli) che Musco, comprese che quella che si parla sul palcoscenico è un’altra lingua da quella che si scrive sulla carta. In più, Beckett nella sua dichiarazione sottolinea per ben due volte la parola «spazio». Il segreto sta proprio lì, nell’intuizione di ciò che rende possibile la messinscena e dunque il teatro: lo spazio, dove azione e movimento producono il tempo. Il luogo dove tutto diviene grazie alla determinante presenza dell’attore, insieme al respiro dello spettatore.

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1 Novembre 2022

Nel laboratorio creativo di Koltès

Diego Vincenti, «Hystrio», XXXV-4

«Non desidero che una cosa: essere capace di correre dei rischi», scrive Koltès nel marzo del 1968. Prima della rivoluzione. A neanche vent’anni. E proprio l’età acerba è al cuore della conversazione a distanza con la madre, per tutta la vita confidente privilegiata. È in quei giorni che il drammaturgo decide di dedicarsi al teatro. Passaggio fondamentale. Ma solo uno fra i tanti. Volume densissimo infatti quello di Cue Press, che porta in Italia il progetto delle Éditions de Minuit, qui con la preziosa curatela di Stefano Casi. Una raccolta di lettere, biglietti d’auguri, telegrammi, ringraziamenti. C’è di tutto. Ad alimentare una certa filologia mitizzante. L’aria bohémien. Ma con l’andare del tempo, mentre si spulcia nei cassetti, la prosa si allunga. E così i pensieri. Emerge l’uomo. Insieme a riflessioni che diverranno centrali nella sua produzione. Si pensi solo all’impossibilità della parola di fronte alle profondità del sentire. Anche se mai Koltès abbandonerà quell’irrequietezza così identitaria, sintetizzata nel 1981 in una cartolina da New York: «Qui abbondano le persone della mia razza, caratterizzate da: inquietudine (fondamentale), disperazione assoluta (senza tristezza) e gusto del piacere».

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20 Ottobre 2022

Dedicato a chi crede che scrivere un monologo sia facile. Intervista di Marina Cappa a Josep Maria Miró

Marina Cappa, «Tortuga Magazine»

Qualche giorno fa, mentre stava sbarcando dall’aereo a Firenze, una telefonata gli ha annunciato che aveva vinto ventimila euro. I soldi contano, anche per gli scrittori. Ma ben di più pesa stavolta il valore artistico di questo Premio nazionale della letteratura drammatica 2022.

Il ministero della Cultura spagnola lo ha assegnato a Josep Maria Miró, scegliendolo fra diverse centinaia di autori che avevano pubblicato nell’ultimo anno un testo di drammaturgia.

Il suo era Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti. Qualche mese fa – al Teatro Rifredi di Firenze, in anteprima mondiale – Maddalena Crippa diede appunto «corpo» a questo «testo per unico interprete (a sette voci)», che ricostruisce una morte e un incontro.

Adesso Miró è tornato a Firenze, sempre al Teatro di Rifredi diretto da Giancarlo Mordini, in occasione della presentazione del suo ultimo spettacolo: L’amico ritrovato, adattamento del libro di Fred Uhlman che in passato era stato sceneggiato per il cinema da Harold Pinter.

Per l’occasione ha partecipato anche alla presentazione del nuovo libro in cui Fabio Francione (per la serie Scheiwiller Sguardi sul teatro contemporaneo) intervista 16 protagonisti del teatro contemporaneo, fra cui appunto lui.

L’autore è catalano e i suoi testi sono tradotti in diverse lingue, compreso lo spagnolo. Ha 45 anni, scrive (fra i suoi lavori più noti, Il principio di Archimede e Nerium Park) ma dirige anche, regista di opere non necessariamente sue.

Attivo fuori dalle scene, Josep Maria ha raccontato di essere pure andato a un convegno di Vox per fotografare i partecipanti, che si sono subito tolti la maglietta per esporre toraci e muscoli. Non che gli uomini politici siano meno narcisi dei loro seguaci, è convinto. Come ha spesso osservato: la loro presenza nelle sale cinematografiche o teatrali si nota solo quando fuori li aspettano un red carpet, fotografi e televisioni, e dichiarazioni a uso auto-promozionale.

Restiamo in tema: per lei, fare teatro è fare politica?

Tutto è politica, vivere è politica. Il teatro lo è perché è un incontro di spettatori che condividono uno sguardo sul mondo, con posizioni uguali oppure diverse, e l’occasione di mettere in dubbio le proprie posizioni e il sistema intero in cui vivono. In teatro noi rinnoviamo il nostro patto di convivenza e i nostri principi. Anche quando si tratta di spettacoli di puro intrattenimento. Pure questa è un punto di vista politico, anche se conservatore.

Che cosa vede quando guarda oggi all’Italia?

Quello che succede è preoccupante, non solo in Italia ma anche nel Nord Europa, in Francia, in Spagna: mi tocca, non è qualcosa di esterno a me. Oggi alcuni partiti che sono ai margini della democrazia sono usciti dall’armadio, non si vergognano di mostrarsi. Ma è inquietante anche che altri partiti democratici, o che si dicono tali, abbiano permesso loro l’ingresso nelle istituzioni, attraverso patti, accordi. Senza dimenticare il quarto potere, la stampa, che ha fatto loro la campagna.

Il ruolo dell’artista qual è, allora?

Deve essere cronista del suo tempo, raccontarne la complessità, generare riflessioni, dubbi. Mai dogmi, però. Un artista può esprimersi in migliaia di modi diversi, ma l’importante è farlo sempre con una visione etica.

Lei in alcuni casi scrive testi che saranno diretti da altri, a volte invece è regista di se stesso. Che differenza c’è nell’approccio? Non ha paura di essere «tradito» o di «tradire»?

Ho avuto molte esperienze, felici e meno. Quando affido un mio testo a qualcuno sottoscrivo con lui un patto di fiducia, ed è vero che negli ultimi anni sono diventato un po’ geloso, cerco maggiori garanzie. Quando invece dirigo il lavoro di un altro – e ne ho fatti diversi – mi metto al servizio di quel materiale e posso farlo solo se ci credo, anzi dopo un po’ finisce che credo di averlo scritto io quel testo. In ogni caso, io scrivo il teatro che mi piacerebbe vedere, tradimento per me significherebbe scrivere pensando solo alla reazione del pubblico.

Non vorrebbe dedicarsi alla narrativa?

Da tempo lo vorrei fare, ma ho sempre molti dubbi su me stesso, non so se ne sono capace. Ma prima o poi verrà il momento. Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti è il mio primo monologo, un editore lo ha letto e ha detto che sarei pronto.

Non aveva mai scritto monologhi prima?

No, spesso si crede che questa sia la forma teatrale più semplice, ma non è così. Lo puoi scrivere dopo che hai affinato gli strumenti di scrittura, le idee. C’è un’età per ogni cosa, come per gli attori: non puoi fare Re Lear o Giorni felici se non hai una certa esperienza alle spalle. Uno dei vantaggi degli anni che avanzano è che si perde l’ansia di fare tutto subito, di ottenere risultati: adesso prendo molto più sul serio ciò che faccio e sono più cosciente del perché scrivo.

Che cosa la spaventa di più nel provare la narrativa: la storia, i dialoghi?

Come dico sempre ai miei corsi di Drammaturgia, il teatro è un genere molto complesso; quando lo scrivi devi sempre tenere in considerazione la teatralità. Però poi lo monti su un palco, assieme ad altre persone e scopri la sua efficacia, sperimenti, puoi togliere battute, correggere qualcosa con gli attori: si sperimenta mentre lo fai e c’è un lavoro di équipe. Nella narrativa tu sei solo, il riscontro te lo dà solo l’editore, che è un altro mondo ed è un vincolo molto importante, tante carriere letterarie sono dipese da lui. Quando il libro è finito, e già questo mi sembra richieda molto più tempo, si pubblica: l’esposizione al pubblico è un salto nel buio. Ma ammetto che sono tutte scuse per ritardare qualcosa che finirò per fare.

I premi, come questo che ha appena vinto, aiutano?

Fanno piacere. Ma – premi o non premi, successo o non successo – ogni volta che ti metti a scrivere una cosa nuova, ricominci da zero. Lo spettatore in teatro non vedrà le tue statuette e gli applausi che hai ricevuto: vedrà quello spettacolo nuovo, e lo giudicherà. Questo è meraviglioso e terribile al tempo stesso. Anche molto adrenalinico, perché in teatro l’esperienza non è garanzia di nulla. Ogni volta sei messo alla prova. E ti devi confrontare non solo con gli altri drammaturghi, ma anche con te stesso, con quello che hai fatto prima e che ti potrà essere giocato contro.

Il suo rapporto con il Teatro di Rifredi dura da tempo…

C’è un rapporto umano e artistico straordinario. Anche con gli spettatori. Rifredi ha creato un pubblico fedele, ha costruito un’identità in cui lo spettatore si riconosce. Come succede con le librerie. Puoi averne una grossa, dove il commesso impara due cose e ti suggerisce l’ultimo romanzo, quello che piace a tutti, vende molto… Dall’altra parte, c’è il negozio magari piccolino dove il libraio ti consiglia l’opera giusta proprio per te. Questo è il Teatro di Rifredi.

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11 Settembre 2015

Nasce la prima impresa sostenuta dal fondo: è Cue...

Cristina degli Esposti, «Il Resto del Carlino»

Da associazione a Srl, questa la parabola dell’impresa che ‘non c’è’. La casa editrice digitale Cue Press, nata da un’idea dell’imolese Mattia Visani, è il primo progetto che verrà sostenuto dal Fondo Strategico Territoriale voluto da Con.Ami e nato a giugno con l’intenzione di superare l’esperienza dell’incubatore d’impresa Innovami. Fst – la Spa costituita da […]
10 Settembre 2015

Premio Nico Garrone

Sostenuto dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro e da Radicandoli Arte

Il Premio Nico Garrone è un riconoscimento dedicato alla memoria di Nico Garrone, critico teatrale e giornalista italiano, noto per il suo impegno nella promozione del teatro e della cultura. Il premio viene assegnato annualmente a figure o realtà che si distinguono per il contributo significativo al panorama teatrale italiano, con particolare attenzione ai valori […]
25 Giugno 2015

Recensione de La supplica

Giulio Fogliata, «Rivista!unaspecie»

Non è difficile, al giorno d’oggi, incappare nella lettura, o nella visione, di commedie del Seicento. Rimane tuttavia raro cogliere da vicino quali fossero lo spirito e il genio ma anche le cure e le preoccupazioni di quelli che furono i protagonisti della Commedia dell’Arte; ce ne fornisce un prezioso esempio Nicolò Barbieri, attore nato […]
26 Aprile 2015

Fuochi, scoppi, crolli in dodici quadri. Addio al...

Anna Bandettini, «La Repubblica»

Facciamo tutti il tifo per gli autori nuovi, ma certo devono essere molto volenterosi per farsi strada nei teatri italiani. È il caso di Davide Carnevali, trentaquattrenne scrittore, professore milanese, pieno di premi per i suoi testi teatrali: Variazioni sul modello di Kraepel, Calciobailla, Come fu che in Italia scoppiò la rivoluzione ma nessuno se […]
17 Aprile 2015

Killed by the hand that feeds you: Rafael Spregelb...

Joseph Paerson, «schaubuehne»

Rafael Spregelburd is telling me the story of David Hume’s chicken. It was first recounted by the philosopher Bertrand Russell, and later retold in a different form by Nassim Nicholas Taleb. The chicken believes the hand that feeds him loves him. «They feed me, they like me, I love them!» The chicken is, of course, […]
6 Marzo 2015

Ribalta digitale. Nuove esperienze di lettura

Rossella Consoli, «Rivista!unaspecie»

In Italia l’avvento del digitale, dalla sua nascita, ha scatenato dubbi e reazioni di perplessità nei lettori più ‘conservatori’ e negli ‘affezionati alla carta’: al suo odore, all’ingiallimento delle pagine col tempo, all’oggetto libro, insomma; quelli abituati alla compra-vendita dal vivo, nelle librerie, circondati da scaffali strabordanti, per intenderci. Ma quanto sappiamo dell’editoria digitale? Ecco […]
29 Gennaio 2015

Schimmelpfennig va in Visita al padre

Fabio Francione, «Il Cittadino»

Si recupera il primo titolo uscito nella collana di drammaturgia I testi della Cue Press di Mattia Visani: Visita al padre del drammaturgo tedesco Roland Schimmelpfennig. Tra gli ultimi numeri ci sono Totò e Vicé del compianto Franco Scaldati e La donna che legge di Renato Gabrielli, quest’ultimo attualmente fino all’8 febbraio in scena al […]
13 Gennaio 2015

Siamo asini o pedanti?

Maria Dolores Pesce, «Dramma»

Probabilmente programmato da tempo ma, per una di quelle casuali coincidenze o interferenze del destino che, anche loro malgrado, assumono il significato di una testimonianza feconda, esce per l’editore Cue Press di Imola, quasi contestualmente alla morte di uno dei protagonisti di quella stagione, questo testo di fine anni Ottanta del secolo scorso, una delle […]
4 Dicembre 2014

Cue Press, l’editoria digitale è un business da...

Federico Spadoni, «La Voce»

I migliori per sostenibilità del progetto, carattere innovativo e fattibilità. Così Cue Press si aggiudica il premio Impresa Creativa, il concorso orientato a sviluppare e favorire la nascita di startup. Tra le dieci idee imprenditoriali selezionate al termine di un percorso formativo di sviluppo, il progetto imolese pensato da Mattia Visani è stato selezionato fra […]
2 Dicembre 2014

Premio Impresa Creativa

Promosso dalle province di Rimini e Forlì-Cesena

Cue Press ha vinto il Premio Impresa Creativa 2014, un concorso promosso dalle province di Rimini e Forlì-Cesena per premiare le migliori iniziative imprenditoriali nel settore creativo. Il premio riconosce Cue Press come il miglior progetto d’impresa dell’anno, evidenziando il valore innovativo e culturale della sua proposta editoriale. Questo riconoscimento sottolinea l’impegno della casa editrice […]
10 Ottobre 2014

Totò e Vicé di Franco Scaldati

Paolo Randazzo, «Dramma»

Quando l’anno scorso, il 13 giugno 2013, Franco Scaldati è venuto a mancare, fatta la tara all’ipocrisia di chi, dopo averlo lasciato una vita senza un teatro, voleva magari dedicargli una strada o una piazzetta a Palermo, tutti coloro che gli sono stati vicino negli anni e hanno amato la sua arte si sono chiesti […]
25 Settembre 2014

L’orgoglio delle idee del Brecht regista

Fabio Francione, «Il Cittadino»

Ristampa in e-book con nuova prefazione a cura di Marco De Marinis di uno dei libri che ha portato all’attenzione del pubblico la capacità di lavoro sui testi non solo teorica di Brecht. Infatti Brecht regista. Memorie dal Berliner Ensemble, oltre a reggersi sulla riproposizione del diario che Hans Bunge (assistente di Brecht nella messinscena […]
19 Settembre 2014

Il trionfo dell’asinità: dalla prefazione di Si...

Oliviero Ponte di Pino, «Ateatro»

Come i primi apologhi composti da Marco Martinelli, Siamo asini o pedanti? evita ogni facile e consolatoria certezza. Rifiuta chiavi immediatamente utilizzabili, risposte univoche. A livello comunicativo, esplora e mescola diversi livelli di realtà e alterna varie forme di comunicazione: la fantascienza (come dice la didascalia iniziale, la pièce è ambientata a «Ravenna felice, anno… […]
20 Agosto 2014

Tutti i palchi portano a Parigi

Camilla Tagliabue, «Il Fatto Quotidiano»

Parigi val bene una messa in scena: con le sue centinaia di sale, le sue decine di teatri pubblici e privati, i suoi numerosi festival ed eventi, la Ville Lumière può, a buon diritto, essere considerata una delle capitali mondiali dello spettacolo dal vivo. Non a caso, la piccola casa editrice Cue Press ha deciso […]
21 Novembre 2013

Libri di carta addio? Intervista (digitale) a un g...

Daniela Arcudi, «KLP Teatro»

Sarà l’inevitabile supporto di studio del nostro immediato futuro, non c’è dubbio. L’ebook è lo strumento più agile da portare in giro e non solo, oltre che supporto ideale per lo studio di ogni genere e grado. Il libro cartaceo, però, potrebbe comunque continuare a trovare un suo mercato, soprattutto se guardiamo a prodotti di […]
20 Settembre 2013

La danza, l’arte, la politica

«Studio28.tv»

Eugenia Casini Ropa, critica, studiosa e storica della danza. Prima laureata del Dams di Bologna, nel 1988 scrive La danza e l’agitprop, che ha deciso di ripubblicare in formato digitale nel 2013. Con lei parliamo della danza, del rapporto tra danza, digitale e sfera etico-politica. Il video è frutto dell’incontro con Eugenia Casini Ropa per […]
23 Maggio 2013

Cue Press: edizioni digitali per il teatro

Leonardo Bettocchi, «Leggi la Notizia»

È nato a Imola il primo progetto italiano di editoria digitale dedicato al teatro, Cue Press. A dargli vita è stato Mattia Visani, attore diplomato al Teatro Stabile di Torino e autore teatrale pubblicato dalla prestigiosa Ubulibri di Franco Quadri, che circa un anno fa ha deciso di ‘varcare la linea’ e diventare egli stesso editore. […]
27 Aprile 2013

Teatro tecnologico

Massimo Marino, «Corriere di Bologna»

Eccolo il primo volume di una casa editrice giovane, che punta sul futuro per rilanciare la passione per una delle arti più antiche, il teatro. La Cue Press nasce a Imola, da due laureati dell’Alma Mater, Mattia Visani, formatosi al Dams, e Stefano Tura, un master in editoria multimediale. Vogliono recuperare importanti studi storici, testi […]
21 Marzo 2013

Tra materiale e immateriale. L’editoria digitale...

Sergio Lo Gatto, «Teatro e Critica»

In lingua inglese ‘cue’ significa ‘battuta, battuta iniziale, attacco, imbeccata, suggerimento’. Il termine gioca con l’omofonia tra ‘cue’ e ‘queue’ che significa ‘coda, fila di persone’. Dunque ‘cuepress’, potrà corrispondere all’esclamazione: «Fate la calca!». Cue Press è la prima casa editrice digitale interamente dedicata al teatro. La casa editrice si muoverà su un doppio binario, […]
8 Gennaio 2013

Cue Press, l’editoria teatrale diventa digitale...

Diego Vincenti, «Hystrio»

La nicchia della nicchia, ovvero: l’editoria teatrale veicolata in digitale. Più futuro che presente, almeno per il momento. Ma è proprio in quest’ottica che si muove chi insegue un’idea, l’impresa. A volte chi riesce ad anticipare i tempi. Si veda Cue Press, progetto in fasce che attende il debutto ufficiale a primavera del prossimo anno. […]
13 Dicembre 2012

Premio Innovazione e Cultura

A Bookcity Milano, la casa editrice vince con voto unanime della giuria

La giuria si è espressa all’unanimità, Cue Press vince il Premio Innovazione e Cultura di Bookcity Milano 2012, la manifestazione culturale che celebra il mondo del libro e della lettura. Il premio è stato istituito per premiare i progetti editoriali che si distinguono per la capacità di unire innovazione tecnologica e promozione della cultura, con […]