Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

Daniele timpano
17 Settembre 2025

Poemi Focomelici

Alessandra Calanchi, «Girodivite»

Queste poesie qui raccolte, datate 1980-2024, ripercorrono la vita di un poeta anomalo, anticonvenzionale, autocanzonatorio, che infatti poeta non è, bensì autore, attore e regista teatrale. Molti spettacoli, molti premi, un documentario, e infine lo straordinario progetto Aldo Morto 54, di cui è stato ideatore, autore e interprete, restando in live-streaming per 54 giorni, autorecludendosi in una cella ricostruita su un palcoscenico, con una replica al giorno. Ma cosa c’è di strano? «se Pasolini o Mario Luzi hanno scritto anche teatro», dice, «potrò ben io scrivere poesia.»

Coraggioso, disinibito, irriverente, rivoluzionario, Timpano intitola «focomelici» i suoi «miserrimi versi» (parole sue) in quanto irregolari, incompiuti, fatti di ritmi e di una metrica sghemba, «tracce sbriciolate» di una vita che il lettore può solo raccogliere come le briciole di Hansel e Gretel, per trovare la strada nel bosco di quell’arrogante civiltà post-moderna, di quell’orrore liberista che ci ha nutriti di menzogne.

Io sono focomelica. Sono nata negli anni Sessanta, vittima della talidomide che ha colpito per fortuna solo un braccio, e ho saputo di esserlo solo in tarda età, perché non se ne poteva parlare. Eppure, focomelia è un termine che sarebbe piaciuto a una bambina curiosa come me, non mi sarei sentita offesa a sentirmi simile a una foca, un animale che adoravo.

E oggi sono orgogliosa che qualcuno – per giunta un Poeta! – abbia utilizzato questa metafora per descrivere la sua opera, fatta di nuvole e silenzi, di dichiarazioni d’amore come questa:

«Esser per te una biblioteca,
collezionare con amore un po’ i tuoi pezzi un po’ i ricordi» (p. 73)

e di versi crudeli e verissimi come questi:

«non andavano d’accordo.
Non riuscivano a lasciarsi
Non riuscivano a ammazzarsi.» (p. 125)

Mi manca il radio nel braccio sinistro, un osso di cui ho imparato fin da piccola a fare a meno; allo stesso modo, in questi poemi manca forse un elemento nascosto che li renderebbe omogenei, che gli darebbe forse la fearful symmetry di William Blake, ma siamo sicuri che li vorremmo veramente così perfetti, prevedibili, convenzionali?

Io ho sentito empatia e sorellanza per questi versi. Ne ho amato il pathos, l’ironia, le ripetizioni, i neologismi («crocerossinami, io ti prego»), le licenze grafiche («Aiuto Aiutoooooooooooooooo…»), le onomatopee, le domande esistenziali («Ma uno zombi, se pensa, ci pensa alla morte?»).

Che dire. Sono conquistata, e pronta a rileggerlo più e più volte. Mi sento quasi parte di questo libro, sono una pagina nascosta fra le altre, che vuole solo dire grazie.

Bec
15 Settembre 2025

Disabilità fisica o psichica in palcoscenico. Per fornire cura e sollievo ai diversamente abili. Con risultati stupefacenti

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Maurizio Lupinelli, direttore di Nerval Teatro, sostiene che

Il teatro è di tutti, essendo uno strumento che può dare delle risposte per potersi confrontare con i propri limiti e donarsi alla comunità.

Da parecchi anni, Nerval Teatro porta avanti dei laboratori permanenti, quello di Rosignano Marittimo e quello di Ravenna, dal titolo Il teatro è differenza.
In verità, si tratta di progetti ‘gemelli’, indirizzati a persone con disabilità che si caratterizzano per un lavoro continuativo e per un disegno ben preciso che riguarda il concetto di inclusione, spesso utilizzato a vanvera.
Nel caso di Nerval Teatro, e del Teatro La Ribalta, di cui ci siamo occupati sulle pagine di questo giornale, il concetto di inclusione non è indirizzato a un pubblico di spettatori, bensì a persone con disabilità fisica o psichica, motivo per cui è diventato oggetto di laboratori permanenti, dedicati all’accessibilità in palcoscenico di persone che in teatro, possano curare la propria disabilità.


Da circa un decennio, l’autore che ha fatto da guida ai laboratori di Nerval Teatro è stato Beckett, diventato un terreno fertile per potere sperimentare forme di comunicazione necessarie per creare delle relazioni tra individui, adatte a una crescita personale. Si è trattato di una operazione ardita che ha conseguito dei risultati stupefacenti, anche perché il teatro di Beckett ben si adatta ad operazioni del genere, poiché permette una saldatura tra drammaturgia, formazione artistica, presenza scenica e cura della persona.
La domanda di partenza è stata: «In che modo l’immaginario beckettiano può diventare l’immaginario del diversamente abile?»
A questa domanda hanno cercato di dare una risposta degli accademici come Gerardo Guccini, Laura Caretti, Fabrizio Fiaschini, nel volume pubblicato da Cue Press: Beckettiana. Laboratori di Nerval Teatro. 2015-2023, che contiene anche interventi del critico Marco Menini e di operatori teatrali, attori scenografi e dello stesso Lupinelli.
Gerardo Guccini, nella sua indagine, parte dal 1999, anno in cui avviene il primo incontro con Beckett e col suo capolavoro, Aspettando Godot, cercando di individuare il perché Lupinelli abbia scelto Beckett e in che modo si sia appropriato di certe tematiche che è riuscito ad adattare ai corpi dei suoi attori, diversamente abili, lavorando sulle parole, sui gesti, alla ricerca di una nuova composizione scenica, a base della quale ha posto il concetto di percezione che ritiene più importante di comprensione e più idoneo a sconfiggere il «silenzio della marginalità».


Per Laura Caretti i temi beckettiani utilizzati da Lupinelli sul palcoscenico risuonano di nuove variazioni, grazie a forme diverse di comparazione che egli sviluppa all’interno del concetto di marginalità sociale, evidente nella natura degradata, rappresentata dai famosi bidoni di Finale di partita.
Per Fabrizio Fiaschini, il viaggio all’interno dell’opera beckettiana si trasforma in un viaggio di libertà interpretativa, da contrapporre a quello di un «professionismo miope», grazie all’uso della «Kenosis», ovvero dello svuotamento della parola a vantaggio di un’arte messa al servizio della diversità, della cura, dove non conta l’esibizione, ma il risultato del progetto.
Marco Menini cerca di capire e farci capire come sia avvenuta la «Costruzione di un habitat», a partire dall’esperienza del 2007 che vide Nerval Teatro collaborare con Fondazione Armunia e col Festival Inequilibrio, sempre aperti alla sperimentazione e all’accessibilità.
Menini ricorda l’importanza dello spettacolo Marat, visto anche a Milano, perché fu scelto dal Teatro La Cucina, ovvero dall’Associazione Olinda, per inaugurare il Festival proprio nel 2007.
Nel volume sono raccolti testi drammatici, studi, testimonianze, oltre che un folto apparato iconografico.

Victor català
12 Settembre 2025

Víctor Català signorina scandalosa

Angelo Molica Franco, «Il Venerdì di Repubblica»

Nutrita è la legione delle scrittrici che, in passato, hanno scelto di assumere uno pseudonimo maschile al fine di pubblicare le proprie opere. Come per le altre, a convincere Caterina Albert i Paradìs – nata sulle coste della Catalogna nel 1869 – a trasformarsi in Víctor Català fu lo scandalo destato dalla sua penna. Successe nel 1898, durante il certamen dei Jocs Florals di Olot, una competizione per scoprire nuovi talenti della cultura catalana. Con il monologo La infanticida, Caterina vinse il primo premio. Tuttavia, la giuria rimase sdegnosamente interdetta, tanto da riconsiderare la vittoria, quando scoprì che era una ragazza di buona famiglia, figlia di un deputato repubblicano di provincia, l’autrice di quel testo crudo e fosco in cui una giovane contadina di nome Nela racconta di aver lanciato sotto la macina del mulino la figlia appena partorita dopo una gravidanza tenuta segreta.

E proprio la storia di Nela, che parla dal manicomio dove è rinchiusa, torna oggi a brillare di tutta la sua luce oscura nel volume L’infanticida. E nove racconti di fuoco e di sangue (Cue Press) nella nuova, plastica traduzione di Claudia De Medio, che restituisce le suggestioni brutali di un mondo rurale che puzza «di cani e sudore». Si muovono, infatti, qui pure i protagonisti degli altri racconti: vecchi mal voluti dalle proprie famiglie, uomini violenti e donne per le quali il matrimonio si rivela una dannazione. Caterina – venuta su da autodidatta nella biblioteca di famiglia – osservava queste vite grottesche e Víctor le trasformava in storie vertiginose, sempre mantenendo tale doppio binario: la vita di possidente signorina borghese, e quella di autore che dal 1901 al 1966 (anno della sua morte) diede alle stampe una ricchissima opera, tra cui spicca il romanzo Solitudine del 1905.

Un’esistenza bifronte a cui, tuttavia, Caterina sentiva di appartenere in toto, e non solo perché le piaceva indossare i pantaloni e fumare il sigaro. Oltre che scrittrice, fu pittrice assai dotata, e non a caso lei stessa mise spesso su tela la propria ambiguità in ammalianti autoritratti in cui si rappresentava ora romantica e appassionata, ora vigorosa e determinata.

Teatro la ribalta 4
7 Settembre 2025

Arte della diversità (2013-2023). Omaggio a Massimo Bertoldi

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Massimo Bertoldi, ideatore e curatore del volume pubblicato da Cue Press: Teatro La Ribalta. Kunst der Vielfalt (arte della diversità) 2013-2023, ci ha lasciati prima di vedere stampato il suo lavoro.

È stato per anni collaboratore di Alto Adige, sulle orme di Umberto Gandini, ed ha collaborato col Teatro Stabile di Bolzano, in particolare per gli approfondimenti storico-culturali. Basterebbe leggere il suo saggio che apre il volume, dopo una premessa che ha firmato insieme ad Antonio Viganò, per capire la qualità delle sue conoscenze e della sua scrittura. Si è parecchio dedicato al Teatro La Ribalta di Bolzano che ha una sua specificità diventata, lungo un percorso decennale, sempre più professionale, ma che va ricercata in quello che viene anche definito Teatro della Diversità o Teatro Inclusivo con lo scopo di coinvolgere persone con disabilità, evitando, però, di trattarle come categorie liminali o marginali rispetto al teatro di tradizione.

C’è da dire che alla guida della Compagnia troviamo un vero professionista di teatro come Antonio Viganò che è riuscito a creare un ensemble dove convivono non-attori con attori professionisti con una espressività che non ha nulla da invidiare a quella dei professionisti.
Il lavoro di Viganò è abbastanza simile a quello di Nanni Garella di cui ho visto messe in scena esemplari, da Fantasmi ai Giganti della montagna di Pirandello, fino all’ultimo spettacolo su Pasolini, Porcile, visto all’Arena del Sole, nei quali, i suoi attori, provenienti dal reparto di igiene mentale della USL di Bologna, recitavano insieme ad attori professionisti con risultati eccellenti. La capacità di valorizzare le differenze, per promuovere l’inclusione, non è da tutti e non la si può improvvisare. Fare in modo che la diversità diventi una forza lavoro è alquanto difficile, ma Viganò, come Garella, è riuscito in maniera straordinaria.


Il volume di cui ci stiamo occupando è, quindi, molto prezioso per capire la scelta fatta da questi registi, contiene degli interventi e delle testimonianze che sollecitano un diverso discorso sulla presenza del corpo in scena, sul suo potere performativo, sulla forza della sua verità, trattandosi di un corpo fragile che, agli occhi di molti, potrebbe apparire come ‘un corpo eretico’. Anzi, proprio a questa categoria, è stato dedicato un Festival omonimo, durante il quale, vengono rappresentati spettacoli che hanno, come denominatore comune, la devianza o il disordine sociale conseguenza della diversità.

A dire il vero, il teatro, da tempo, si occupa di questo disagio, esiste una vasta bibliografia sui luoghi di disperazione, come manicomi, carceri che sono stati luoghi di spettacoli esemplari, come quelli del Teatro della Fortezza di Volterra, diretto da Armando Punzo o quelli di Lenz Rifrazioni di Parma, con attori down, o quelli del Teatro Patologico, diretto da Dario D’Ambrosi, con dei malati mentali, diventati sempre più attori che sono andati in tournée persino in America. È chiaro che attorno a questi spettacoli ci sono anni di lavoro, durante i quali sono stati affrontati, drammaturgicamente, i temi delle disabilità cognitive e sensoriali, per i quali si sono inventati un linguaggio scenico capace di rappresentarli.


Il volume contiene l’analisi degli spettacoli realizzati tra il 2013-2023, si va da Minotaurus a Fratelli, visto al Teatro la Cucina di Milano, in occasione del Festival ‘Da vicino nessuno è normale’, a Otello Circus, di cui si può leggere l’analisi fatta da Antonio Attisani, il quale sostiene che la Ribalta più che concetti porti in scena gli affetti.
Il lavoro registico di Viganò è oggetto di studio, oltre che da Bertoldi, anche da Stefano Masotti, per il quale, Viganò dà molta importanza al corpo, da intendere come corpo poetico, argomento a cui si interessa Ugo Morelli consapevole che esista un momento in cui il sipario possa aprirsi agli «altri».
Guido Di Palma ci parla del Teatro Sociale e pedagogico, con gli occhi dell’etnoantropologo, mentre Paolo Grossi ci racconta la sua storia di attore all’interno della Compagnia.
Un ricordo affettuoso è quello di Maria Clara Pagano che fa un breve ritratto del marito Massimo Bertoldi.
Il volume contiene una notevole iconografia e le locandine di tutti gli spettacoli.

Festen
28 Agosto 2025

Un manifesto per l’umanesimo a teatro

Katia Ippaso, «Il Venerdì di Repubblica»

La parola umanesimo è in perenne disequilibrio, sempre sul punto di cadere. Gli artisti non la frequentano volentieri. Temendo forse di passare per pericolosi antropocentrici, alcuni la evitano come la peste. Al contrario, Marco Lorenzi e Barbara Mazzi, fondatori del Mulino di Amleto, la espongono come vessillo del loro manifesto poetico: nel «paesaggio ingiusto e diseguale» che vedono attorno a loro, usano deliberatamente la parola umanesimo per contrastare «i sudditi di massa» e «i sudditi dell’élite».

Ne discutono con Laura Novelli e Ilena Ambrosio, due critiche teatrali e insegnanti di Lettere, che hanno avuto la brillante idea di scrivere un libro sul metodo di lavoro della compagnia torinese (Raccontare Il Mulino di Amleto – Per un teatro dell’ascolto, Cue Press), che negli ultimi anni si è distinta per il dispositivo scenico-tragico di Festen-Festa in famiglia (adattamento teatrale dell’omonimo film di Vinterberg, 1998) e ancora di più per l’ardore con cui ha messo in vita lo sconvolgente testo di Wajdi Mouawad, Come gli uccelli, trattato drammatico-filosofico sull’identità e la guerra (in Italia è pubblicato da Einaudi). Il risultato è un dialogo tra quattro – e più – umanisti che, attraverso il teatro, cercano disperatamente un modo per non finire, tutti, alla festa di Festen.

Teatro la ribalta
25 Agosto 2025

Teatro delle Diversità. Quando la differenza è un valore, anche i ‘diversi’ diventano professionisti uguali agli altri

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Massimo Bertoldi, ideatore e curatore del volume pubblicato da Cue Press: Teatro La Ribalta. Kunst der Vielfalt (arte della diversità) 2013-2023, ci ha lasciati prima di vedere stampato il suo lavoro.


È stato per anni collaboratore di Alto Adige, sulle orme di Umberto Gandini, ed ha collaborato col Teatro Stabile di Bolzano, in particolare per gli approfondimenti storico-culturali. Basterebbe leggere il suo saggio che apre il volume, dopo una premessa che ha firmato insieme ad Antonio Viganò, per capire la qualità delle sue conoscenze e della sua scrittura. Si è parecchio dedicato al Teatro La Ribalta di Bolzano che ha una sua specificità diventata, lungo un percorso decennale, sempre più professionale, ma che va ricercata in quello che viene anche definito Teatro della Diversità o Teatro Inclusivo con lo scopo di coinvolgere persone con disabilità, evitando, però, di trattarle come categorie liminali o marginali rispetto al teatro di tradizione.

C’è da dire che alla guida della Compagnia troviamo un vero professionista di teatro come Antonio Viganò che è riuscito a creare un ensemble dove convivono non-attori con attori professionisti con una espressività che non ha nulla da invidiare a quella dei professionisti.
Il lavoro di Viganò è abbastanza simile a quello di Nanni Garella di cui ho visto messe in scena esemplari, da Fantasmi ai Giganti della montagna di Pirandello, fino all’ultimo spettacolo su Pasolini, Porcile, visto all’Arena del Sole, nei quali, i suoi attori, provenienti dal reparto di igiene mentale della USL di Bologna, recitavano insieme ad attori professionisti con risultati eccellenti. La capacità di valorizzare le differenze, per promuovere l’inclusione, non è da tutti e non la si può improvvisare. Fare in modo che la diversità diventi una forza lavoro è alquanto difficile, ma Viganò, come Garella, è riuscito in maniera straordinaria.


Il volume di cui ci stiamo occupando è, quindi, molto prezioso per capire la scelta fatta da questi registi, contiene degli interventi e delle testimonianze che sollecitano un diverso discorso sulla presenza del corpo in scena, sul suo potere performativo, sulla forza della sua verità, trattandosi di un corpo fragile che, agli occhi di molti, potrebbe apparire come «un corpo eretico». Anzi, proprio a questa categoria, è stato dedicato un Festival omonimo, durante il quale, vengono rappresentati spettacoli che hanno, come denominatore comune, la devianza o il disordine sociale conseguenza della diversità.

A dire il vero, il teatro, da tempo, si occupa di questo disagio, esiste una vasta bibliografia sui luoghi di disperazione, come manicomi, carceri che sono stati luoghi di spettacoli esemplari, come quelli del Teatro della Fortezza di Volterra, diretto da Armando Punzo o quelli di Lenz Rifrazioni di Parma, con attori down, o quelli del Teatro Patologico, diretto da Dario D’Ambrosi, con dei malati mentali, diventati sempre più attori che sono andati in tournée persino in America. È chiaro che attorno a questi spettacoli ci sono anni di lavoro, durante i quali sono stati affrontati, drammaturgicamente, i temi delle disabilità cognitive e sensoriali, per i quali si sono inventati un linguaggio scenico capace di rappresentarli.


Il volume contiene l’analisi degli spettacoli realizzati tra il 2013-2023, si va da Minotaurus a Fratelli, visto al Teatro la Cucina di Milano, in occasione del Festival ‘Da vicino nessuno è normale’, a Otello Circus, di cui si può leggere l’analisi fatta da Antonio Attisani, il quale sostiene che la Ribalta più che concetti porti in scena gli affetti.
Il lavoro registico di Viganò è oggetto di studio, oltre che da Bertoldi, anche da Stefano Masotti, per il quale, Viganò dà molta importanza al corpo, da intendere come corpo poetico, argomento a cui si interessa Ugo Morelli consapevole che esista un momento in cui il sipario possa aprirsi agli «altri».
Guido Di Palma ci parla del Teatro Sociale e pedagogico, con gli occhi dell’etnoantropologo, mentre Paolo Grossi ci racconta la sua storia di attore all’interno della Compagnia.
Un ricordo affettuoso è quello di Maria Clara Pagano che fa un breve ritratto del marito Massimo Bertoldi.
Il volume contiene una notevole iconografia e le locandine di tutti gli spettacoli.

Daniele timpano
8 Agosto 2025

Poemi Focomelici: il verbo si è fatto carne, poi si è rotto

Roberto Stagliano, «Theatron 2.0»

Natale 1980 non è un’origine, ma una frattura. Non un parto, ma un inciampo genetico. Così si apre Poemi Focomelici. Selezione ragionata 1980–2024, l’ultimo lavoro di Daniele Timpano, attore e autore tra i più radicali e disturbanti della scena teatrale contemporanea. Pubblicato nel 2025 da Cue Press e curato da Dario Tomasello, il volume raccoglie oltre quarant’anni di scrittura, performatività, rovina e reinvenzione.

È un libro che è anche un corpo: autobiografia poetica, ma anche bestemmia, monologo, atto mancato, gesto irreparabile. Le sue prime incarnazioni pubbliche – al Suq Festival di Genova e al festival La Punta della Lingua di Polverigi – non si sono limitate a presentare un testo, ma lo hanno messo in scena, letteralmente. Il verbo si è fatto carne e la carne si è disfatta davanti al pubblico.

Il 19 giugno 2025, sul palco galleggiante dell’Isola delle Chiatte di Genova, Timpano ha sviscerato i suoi versi per il Suq Festival, che promuove il dialogo interculturale. Tre giorni dopo, a Villa Nappi di Polverigi, ha replicato la performance nell’ambito del festival itinerante dedicato alla poesia e poi il 19 luglio al Festival Teatro e Colline di Calamandrana Alta (Asti). In tutte queste occasioni, la scrittura si è fatta carne e gesto, corpo e contraddizione. Una performance che è anche lingua-cicatrice che non cerca di rimarginarsi, ma di restare aperta.

La ‘focomelia’ come paradigma poetico


La focomelia non è solo un’anomalia clinica. È qui concetto estetico, metafora fondativa, condizione ontologica della scrittura. Il termine – che indica una malformazione congenita degli arti – è usato da Timpano come chiave poetica: scrivere dalla frattura, con e nella deformazione.

Non c’è un Eden da cui l’autore è caduto: non c’è mai stato un intero, un corpo compiuto, una lingua illesa. L’origine è già ferita, la parola è già zoppicante. In ciò risuona la lezione della crisi del linguaggio del Novecento da Beckett a Carmelo Bene.

La scrittura nasce dalla menomazione come condizione originaria del linguaggio. E in questo senso, Timpano compie un gesto profondo e arcaico: riportare il dire al dolore, al corpo, alla rottura originaria.
La poesia non è edificazione, ma smottamento. Non rivela un senso, lo disarticola. La focomelia diventa allora il paradigma epistemico e poetico di una lingua che cammina su un campo minato. Il linguaggio non è più strumento trasparente, ma carne che si lacera nel tentativo di nominare il reale.

Il testo è un’odissea catabatica – si scende, sempre, verso un io frantumato, un corpo sezionato, una storia personale che si mescola con quella collettiva fino a perdere ogni confine. Le immagini – formiche, cemento, vasche, soffitti – sono ancore di un’immaginazione che sfarina la psiche in continuo loop. Ogni immagine è carne, ogni carne è simbolo.

Un deserto ipercinetico di immagini e contrasti


La scena – che sia palco o pagina – è un deserto ipercinetico in cui si scontrano archetipi e detriti contemporanei tra Paura e delirio a Las Vegas e Duel, dove il monologo interiore si frantuma in sabbia, spari, occhi chiusi per sempre e silenzi hitchcockiani. Sisifo abita i moderni cavalcavia. L’Egitto è un parcheggio notturno. Le pietre polverizzano i piedi polverizzati come in una tragedia senza pubblico. È metafisica dell’urbano degenerato, un’epica degli scarti: l’eroismo dei perdenti, degli zoppi, dei bambini che tirano dadi con ossa rotte.

Timpano abita un’estetica del collasso, dove ogni immagine implode e contraddice la successiva. Il risultato è una scrittura spaesante, convulsiva, che somiglia a un attacco epilettico con la forma di una composizione lirica.

Non c’è un io stabile: il soggetto è un assemblaggio di traumi e fantasmi. Il lettore non è spettatore distaccato, ma inchiodato – «con gli occhi cuciti aperti», come nel celebre esperimento di Arancia Meccanica. Non c’è distanza, né interpretazione: c’è esposizione forzata alla carne del linguaggio.

Il teatro qui non è ornamento della parola, ma la sua materializzazione estrema. Non c’è finzione, ma un realismo brutale che usa l’immaginario per sezionare la realtà. Ogni metafora è un colpo, ogni verso una frattura aperta.

Famiglia, femminilità, Dio e linguaggio come ferita


I temi classici della biografia – la famiglia, la fede, il sesso – sono qui rivoltati come un guanto. La famiglia è un campo operatorio. Padre come reliquia dimezzata, madre come matrice e trappola sacra. Bambini abortini, poetici. A amici, amati e uccisi, messi sottovuoto. Il cuore parla come un dio bambino. È autobiografia mutata in teologia del vuoto.

E la femminilità? Non musa, ma margine. Carne viva, ferita, orgasmo e abisso. Il piacere non consola: è un atto conoscitivo, un’epistemologia dell’orgasmo. Non è manifesto, è scherno. Una risata brechtiana che deforma tutto e che fa crollare il potere.

Materia e spirito si prendono a schiaffi: preservativi e ostie, assorbenti e santi deformi, autofellatio e preghiere. Il sacro si sporca, il corpo si eleva, e l’esito è una teopoetica dell’abiezione dove Dio forse è solo un bambino disabile dimenticato in un frigorifero. Il verbo si è fatto carne. Poi si è rotto. Non c’è consolazione. Il linguaggio si rompe per dire l’indicibile.

Timpano si muove in un territorio che ricorda l’estetica del trauma: una zona in cui l’identità è disgregata, la narrazione impossibile, e l’unica forma di racconto è la deformazione: «Tu sei qua, non là. Dalla mia parte della soglia ma». Questo verso – monco, interrotto è emblema di un’intera poetica. La soglia è il luogo del poeta deformato, non il ponte verso l’altro.

Linguaggio come carne che sanguina


Il linguaggio, per Timpano, è un corpo che sanguina. La lingua non è più mediazione: è lacerazione.

Sul piano linguistico si manifesta una guerriglia semantica. Neologismi come smorzancrolla, babbocazzuto, nano bicefalo non sono giochi stilistici: sono le suture verbali di un mondo che si reinventa attraverso la deformità. La lingua si ammala per dire ciò che il linguaggio sano non può. Una patologia del verbo, nel senso più alto e sacro. Non è barocco: è linguaggio che implode su sé stesso, in un’eco del Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud che si contorce nudo sul palco gridando «Je suis né à crier».

È impossibile non cogliere l’influenza di Beckett, di Artaud, di Genet, ma anche quella di certa performance art, di Bataille, di Cioran. Ma qui le influenze non sono citate, sono digerite e vomitate. Questo non è omaggio: è cannibalismo. E il cannibalismo – letterario, simbolico, viscerale – è la spina dorsale di questa opera. Il corpo diventa cibo, il sogno supposta, l’infanzia omeostasi digestiva. «Finiremo per vivere, felici, mangiando soltanto di noi?»

Poesia e teatro: un’alleanza carnale


Poemi Focomelici non è un testo teatrale in senso canonico, ma è teatro vivente. La scrittura è orale, fonica, pensata per essere detta, incarnata, eseguita. Ogni parola si fa suono, corpo, vibrazione. In questo paesaggio sonoro si innesta perfettamente la ricerca musicale di Marco Maurizi che attraversa il testo con trame oblique, disegnando scenari acustici che sfuggono alla linearità, aprendo spazi di ascolto nuovi e profondi.

Timpano non legge i suoi versi: li partorisce. La scena non è trasposizione del testo, ma la sua origine. Il corpo è pagina viva. Il fiato è punteggiatura. Il ritmo è architettura drammaturgica. Qui si afferma un’idea radicale: la poesia non è solo da leggere, ma da attraversare fisicamente. La parola è gesto, sangue, sputo.

Timpano raccoglie l’eredità di Carmelo Bene, la destruttura e la sporca. Si confronta con l’erotismo simbolico di Claude Cahun e con la furia dadaista di Elsa von Freytag-Loringhoven. Ma, a differenza loro, non sacralizza la differenza: la getta nel fango. Non celebra l’alterità, la disossa.

La poesia come atto estremo


Alla fine, Timpano ci pone una domanda che non ha bisogno di essere pronunciata: è ancora possibile scrivere poesia oggi senza essere stati rotti?
La scrittura nasce da una lacerazione che non si ricompone. Poemi Focomelici è opera necessaria: non consola, non redime. È grido, gesto, urlo incarnato. È una poesia per chi ha smesso di cercare risposte, ma continua a gridare. Un atto di sopravvivenza ostinata.
Si scrive solo se si è stati rotti. E se si ha il coraggio di restare rotti.

Quindi sì, è poesia. Ma è anche molto di più.
È carne.
È sangue.
È febbre.
È focomelia dell’anima.
È l’assurdo che si infila nei calzini ogni mattina.
È ciò che resta quando non resta nulla.

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Woody Allen su Woody Allen: quella bellissima chia...

Adele Porzia, «ClassiCult.it»

Ogni volta che penso a Woody Allen mi sembra di essere più felice. E ultimamente sono particolarmente felice perché sto leggendo tantissimo su di lui. Non solo ho riletto l’autobiografiaA proposito di niente, pubblicata in italiano da La nave di Teseo nel 2020, ma anche diversi saggi, tra cui quello di Roberto Escobar,Il mondo di […]
27 Giugno 2025

Tra filosofia e cinema: a proposito di Il mondo vi...

Stefano Marino, «Mimesis–Scenari»

Da qualche anno il pensiero versatile e multiforme di Stanley Cavell (1926-2018) sembra essere al centro di una significativa riscoperta, soprattutto sul versante dell’impegno di Cavell come filosofo estremamente interessato alle arti. Senza alcuna pretesa di completezza, come segni di questa recente opera di riscoperta è possibile citare qui, ad esempio, i volumi di Rex […]
24 Giugno 2025

Raccontare Il Mulino di Amleto: dalla scena al lib...

Letizia Bernazza, «LiminaTeatri»

Pubblicato a dicembre 2024 dalla casa editrice Cue Press, il volume Raccontare Il Mulino di Amleto. Per un teatro in ascolto scritto da Ilena Ambrosio e Laura Novelli è un’opera complessa e rigorosa.Complessa perché le autrici riescono a tracciare l’intero percorso artistico della compagnia, fondata ufficialmente nel 2009 da Marco Lorenzi, Barbara Mazzi e Maddalena Monti nel […]
20 Giugno 2025

Un’isola fra mito e futuro. Il testo di Lina Pro...

Marta Occhipinti, «la Repubblica»

Tempo e silenzio sono trascorsi in quattordici anni. E in mezzo un testo teatrale rimasto nel cassetto, che fermò il suo orologio nell’estate del 2011. «Gentile e preziosa, amica, è mio desiderio riaffermare la peculiare identità siciliana, la sua molteplicità di spirito e di cultura, la stratificazione storica e poetica delle civiltà universali, la memoria […]
22 Maggio 2025

Aspettando Godot, dai Quaderni di regia e testi ri...

Adele Porzia, «ClussiCult.it»

Nel 1953 venne per la prima volta portato in scena Aspettando Godot, un’opera cui Samuel Beckett si era dedicato tra il 1948 e il 1949 e che avrebbe garantito la fama del suo ideatore e sancito la sua appartenenza al Teatro dell’assurdo. Inizialmente, non è stato lo stesso scrittore ad occuparsi della messa in scena […]
13 Maggio 2025

L’ombra del ciliegio. Il cinema di Mizoguchi Ken...

Lorenzo Peroni, «ArtsLife»

Con Ozu Yasujiro, Naruse Mikio e Kurosawa Akira, Mizoguchi Kenji è considerato uno dei più importanti autori del cinema giapponese classico, un regista che, con la sua filmografia, ha accompagnato – dagli anni Venti agli anni Cinquanta, passando dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore – il Paese verso la modernità. Sono i giovani […]
26 Aprile 2025

«Il palco è magia, rito e catastrofe»

Rafael Spregelburd, «il Fatto Quotidiano»

Pubblichiamo uno stralcio di Sul mio teatro (Cue Press), raccolta di scritti di uno dei più influenti drammaturghi viventi: Rafael Spregelburd. Delle diverse materie di cui è fatto il teatro, il tempo è senza dubbio una delle più ostinatamente misteriose. Addirittura mi piacerebbe azzardare che il teatro sia un esperimento pseudoscientifico sulla natura del tempo. […]
27 Marzo 2025

I primi dieci anni del Teatro la Ribalta in un lib...

Floriana Gavazzi, «RaiNews»

Un libro fresco di stampa raccoglie i primi dieci anni di storia del Teatro la Ribalta – Arte della diversità, che ha fatto di Bolzano un centro di eccellenza per la ricerca teatrale con persone in situazione di disagio psichico. Ne abbiamo parlato con il fondatore e regista Antonio Viganò. Il primo spettacolo manifesto è […]
25 Marzo 2025

Cacciatori di Mann

Andrea Pirruccio, «FilmTv»

Il libro MannHunters curato da Alessandro Borri — esaustiva bibbia dedicata a scandagliare l’opera e la personalità di Michael Mann e preziosa fonte di informazioni per questo articolo — riporta una citazione del critico John Wrathall secondo cui «Mann è il miglior regista d’architettura dai tempi di Antonioni». Proviamo a dare credito a questa affermazione […]
20 Marzo 2025

MannHunters: Michael Mann a 360 voci

«Salotto Monogatari»

In una puntata di Special Monogatari Marco Grifò e Simone Malaspina dialogano con Alessandro Borri curatore di MannHunters: Michael Mann a 360 voci, un volume che racchiude un lavoro pluridecennale di riflessione sul cinema e sulla figura del regista di Chicago. Collegamenti
11 Marzo 2025

Risveglio di primavera, c’è il libro

Lucia Munaro, «Salto»

Un testo scandaloso Nuova messa in scena a Bolzano del dramma teatrale Risveglio di primavera Frank Wedekind. Il testo originale Frühlings Erwachen, con il sottotitolo Eine Kindertragödie (Una tragedia di fanciulli), scritto tra il 1890 e 1891 e pubblicato dall’autore nel 1891 a Zurigo, fu vietato a lungo dalla censura tedesca e venne rappresentato per […]
10 Marzo 2025

Cue Press, il coraggio del digitale su un palcosce...

Valentina Grignoli, «Rsi — Radiotelevisione Svizzera»

Un progetto visionario ma con i piedi ben saldati per terra. In quella giungla senza pietà che è il panorama editoriale, su un terreno di nicchia e per pochi come può essere il mondo del teatro, nasce, cresce, resiste e vince Cue Press, la prima casa editrice digital first interamente dedicata alle arti dello spettacolo. […]
26 Febbraio 2025

Michael Mann a 360 voci

«Hollywood Party — Rai Radio 3»

Mannhunters. Michael Mann a 360 voci, il grande regista statunitense visto da Alessandro Borri. Heat, Collateral, Manhunter sono solo alcuni titoli di un cineasta che cambiato il modo di intendere il cinema poliziesco, facendone un ibrido di coolness e realismo e influenzando molti autori contemporanei. Collegamenti
19 Febbraio 2025

Disperati e falliti alla ricerca di un nuovo mondo...

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Carrozzeria Orfeo insieme a Teatro Sotterraneo e Kepler 452 sono ormai dei collettivi che si sono imposti all’attenzione della critica e del pubblico per un loro modo di concepire i testi e il linguaggio scenico. Il mondo a cui attingono è rigorosamente contemporaneo che cercano di rappresentare con un linguaggio brillante, dinamico, come del resto […]