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Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

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25 Marzo 2025

Cacciatori di Mann

Andrea Pirruccio, «FilmTv»

Il libro MannHunters curato da Alessandro Borri — esaustiva bibbia dedicata a scandagliare l’opera e la personalità di Michael Mann e preziosa fonte di informazioni per questo articolo — riporta una citazione del critico John Wrathall secondo cui «Mann è il miglior regista d’architettura dai tempi di Antonioni». Proviamo a dare credito a questa affermazione prendendo in esame solo uno dei suoi capolavori Manhunter. Che si apre sulle immagini amatoriali di una delle case della suburbia di Atlanta ripresa dal serial killer Dollarhyde (soprannominato ‛dente di fata’ nell’adattamento italiano) mentre ne sta violando gli ambienti.
All’autore bastano pochi secondi per restituire la normalità ‛familiare’ dell’alloggio: i gradini rivestiti di moquette su cui campeggia il peluche di un pinguino (la traccia di un bambino), la stanza dei figli riconoscibile dal caos di indumenti appallottolati su una moquette blu, poi la camera da letto in cui riposa una donna e, sullo sfondo, una porta a vetri che lascia intravedere un giardino.

Dopo i titoli di testa si passa a un’altra abitazione: quella, magnifica, dell’agente Graham e che all’epoca era la villa sull’isola di Captiva, al largo della Florida, in cui viveva l’artista neo-dada Robert Rauschenberg. Al progetto originale Rauschenberg aveva apportato delle modifiche, chiudendo il piano terra e aggiungendo porte scorrevoli vista mare. Questa necessità architettonica di aprirsi verso l’esterno, già resa volutamente visibile (nelle inquadrature manniane nulla è casuale) nella casa profanata dal maniaco, è in Manhunter indizio di equilibrio, tensione verso un ricercato contatto col prossimo.

Definita da volumi di mirabile essenzialità e purezza, la costruzione affacciata sul golfo del Messico è presentata da un movimento all’indietro della macchina da presa: il piano che mostra l’agente e il figlio intenti a costruire un recinto si allarga a includere la villa, dove la moglie del protagonista si gode la vista dal terrazzo del piano superiore, retto da quattro agili pilastri collocati davanti al portico e alle vetrate del livello inferiore.

Poco dopo, una scena straordinaria mostra di spalle le sagome della donna e del collega del marito dall’interno della residenza davanti a un tramonto mozzafiato. Segue un altro momento in cui la coppia, ancora davanti alle vetrate, è immersa in quel blu che tutti gli amanti del regista conoscono bene, e che sembra provenire contemporaneamente dal mare e dal cielo, lasciando pensare che non possa esserci niente di più bello. Sempre nel libro di Borri trovo questa dichiarazione del direttore della fotografia, Dante Spinotti, che a proposito di questa sequenza ricorda: «C’era questa vetrata sull’oceano e cominciai a inserire una serie di gelatine blu e dei neutri molto pesanti. Attraverso le gelatine si vedeva il mare con il sole in controluce e mi venivano in mente quelle scene in effetto notte girate sui piroscafi negli anni Trenta, con la luna che scintilla nel mare. Rauschenberg entrò e disse ‘Ah, ci andate giù pesanti col romanticismo’».

Dopo aver visitato la casa del massacro ripercorrendo i passi di Dollarhyde, Graham sa cosa dovrà affrontare: ha visto la moquette blu nella stanza dei bambini intrisa di rosso, ha visto il bianco della camera da letto macchiato del sangue delle vittime e poi si è guardato allo specchio, sentendosi sopraffatto. Un senso di soffocamento che Mann sottolinea appena dopo, inquadrando il detective nell’hotel in cui alloggia, l’Atlanta Marriott Marquis progettato da John C. Portman e all’epoca appena inaugurato, caratterizzato da un enorme atrio futurista alto 143 metri. Graham è ripreso all’interno del suo ascensore e dal basso, come se fosse schiacciato da una responsabilità a cui avrebbe voluto sottrarsi.

L’inquadratura seguente mostra la capsula inabissarsi fra le mura curvilinee dell’albergo, in uno spazio affascinante e insieme opprimente. Giorni dopo, in cerca d’indizi che possano aiutarlo a catturare ‛dente di fata’, il poliziotto si reca dalla sua nemesi: quel dottor Lecktor (Lecter nel romanzo di partenza e nei film successivi) che lui stesso ha contribuito a rinchiudere in un carcere di massima sicurezza. La sua cella è un incubo bianco: bianchi sono i mattoni alle pareti, le sbarre che lo imprigionano, le lenzuola, la sua tenuta da detenuto. Ma bianco è anche il percorso che accompagna l’agente nella sua corsa verso l’uscita, come lo sono le rampe inquadrate dal regista mentre il suo ‛eroe’ le percorre freneticamente alla ricerca di aria, e che non possono non ricordare quelle del Guggenheim di Lloyd Wright.
Bianco, ancora, è il ponte all’esterno, in cui Graham cerca di riprendere fiato. Mann ribalta di senso quel colore simbolo di purezza, così come fa con quel luogo deputato all’arte e alla cultura che nella finzione diventa la prigione di un killer seriale. Si tratta dell’High Museum of Arty di Atlanta firmato Richard Meier, eletto tra le dieci migliori opere di architettura americana degli anni Ottanta: dodicimila metri quadri di pura ‛bianchezza’ (il candore è la cifra progettuale di Meier), rivestiti di pannelli d’acciaio smaltato e il cui accesso è affidato a una lunga rampa che raccorda indoor e outdoor. Rispetto al Guggenheim, dove le rampe sono anche gallerie espositive, le pareti dell’High Museum presentano finestre atte a illuminare gli ambienti e offrire una vista sulla città. Meier sottolinea il valore della luce parlandone come di «un simbolo del ruolo del museo come luogo di estetica illuminazione e di valori culturali liberi da pregiudizi». Valori che Mann sadicamente capovolge, facendo dell’opera una scatola chiusa attorno a tutto ciò che di maligno esiste al mondo.

Al termine di questo viaggio nel bianco, è curioso notare come sulla scrivania del direttore del penitenziario si stagli una lampada da tavolo Tizio di Richard Sapper, capolavoro di equilibrismo progettuale e meccanico, qui ovviamente in versione total white. Il libro di Borri riporta ancora una dichiarazione in cui Spinotti racconta come tra le fonti di ispirazione per arredare l’appartamento di Dollarhyde ci fosse il lavoro di Raymond Loewy, fortunatissimo industrial designer la cui cifra estetica più riconoscibile è data dalla linea curva e dell’aerodinamicità delle sue creazioni. A Loewy potrebbe far pensare la morbidezza della poltrona visibile nella prima scena ambientata chez ‛dente di fata’, mentre il gigantesco assassino si prende cura del giornalista che ha sequestrato e alle loro spalle si staglia una delle fotografie spaziali di cui abbonda l’abitazione.
A proposito del significato da attribuire alle case (nel cinema di Mann in generale e in Manhunter in particolare) Daniele Dottorini, nel libro di Borri, scrive che «gli spazi domestici possono aprirsi o proiettarsi all’esterno, come la casa di Will Graham […] o chiudersi in loro stesse, come trappole mortali o segno dello squilibrio di chi le abita. Se la casa non apre alla visione, non permette agli spazi di proiettarsi sul mondo esterno, allora questa diventa labirinto, prigione, luogo mentale e a volte contorto, come la casa del serial killer di Manhunter». L’analisi è corretta: contrariamente alla villa di Graham e agli alloggi delle vittime di Dollarhyde, l’appartamento di quest’ultimo non presenta vetrate scorrevoli, ma pareti di mattoni di vetro smerigliato (materiale utilizzato per celare, non certo per mettere in relazione) e una serie di finestre a bilico semichiuse, che sembrano minacciosamente pronte a chiudersi come ghigliottine su chi volesse utilizzarle come vie di fuga.

Non è un caso che Graham, per avere ragione del criminale, si serva di una di quelle finestre schiantandovisi contro e riducendola in frantumi, portando con sé una boccata di ‛esterno’ nella tana del mostro. Quest’ultimo è sconfitto, la sua organizzazione spaziale va a pezzi in parallelo a quella mentale, e Mann lo sottolinea con un uso del montaggio che non ha eguali e che — ultimo prelievo dal volume di Borri — i critici Aaron Aradillas e Matt Zoller Seitz descrivono così: «combinati con improvvisi cambiamenti di velocità e di direzione, gli stacchi disturbanti fanno sembrare che il film si stia disintegrando sotto i nostri occhi, andando a brandelli nel proiettore. Questo film sta avendo un esaurimento nervoso». È quello che succede quando uno spazio da sempre concepito come introiettato e introflesso subisce la brutale irruzione del suo contrario. Però nessuno avrebbe saputo metterlo in scena come Mann.

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Michael mann main
20 Marzo 2025

MannHunters: Michael Mann a 360 voci

«Salotto Monogatari»

In una puntata di Special Monogatari Marco Grifò e Simone Malaspina dialogano con Alessandro Borri curatore di MannHunters: Michael Mann a 360 voci, un volume che racchiude un lavoro pluridecennale di riflessione sul cinema e sulla figura del regista di Chicago.

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Wedekind
11 Marzo 2025

Risveglio di primavera, c’è il libro

Lucia Munaro, «Salto»

Un testo scandaloso

Nuova messa in scena a Bolzano del dramma teatrale Risveglio di primavera Frank Wedekind. Il testo originale Frühlings Erwachen, con il sottotitolo Eine Kindertragödie (Una tragedia di fanciulli), scritto tra il 1890 e 1891 e pubblicato dall’autore nel 1891 a Zurigo, fu vietato a lungo dalla censura tedesca e venne rappresentato per la prima volta solo quindici anni più tardi, nel 1906 a Berlino, continuando del resto a destare scandalo per il tema affrontato della sessualità degli adolescenti che intaccava i tabù della società del tempo, denunciandone l’ipocrisia. Non solo i temi scabrosi, dalla scoperta della sessualità fino allo stupro, l’aborto, l’omossessualità, il suicidio e l’irrisolvibile conflitto generazionale con il mondo degli adulti, in una società oppressiva che soffoca i sogni degli adolescenti, ma anche l’importanza dell’amicizia, i turbamenti che li agitano, le domande sulla vita e il desiderio di darle un senso, sono trattati da Wedekind con inedita naturalezza e sensibilità nei confronti dei giovani.

Anche la forma drammaturgica adottata dal poliedrico autore, drammaturgo, attore, perfino circense, è nuova e rompe gli schemi della narrazione classica. Diciannove brevi scene, dialoghi e monologhi intrisi di satira sociale, sostituiscono lo svolgimento lineare della storia, mettono al centro il conflitto interiore, le speranze spezzate, l’incomunicabilità e il disagio dei singoli personaggi. Gli aneliti dei giovani protagonisti Melchior e dell’amico Moritz, delle amiche Wendla, Martha e Thea, degli altri studenti e studentesse, si scontrano con l’ottusità, la rigidità e l’inadeguatezza di genitori e docenti della scuola, sbeffeggiati quest’ultimi da Wedekind fin dai nomi: il Preside Sonnenstich (Insolazione) e i professori del ginnasio Hungergurt (Cintura della fame), Knochenbruch (Frattura ossea), Affenschmalz (Lardo di scimmia), Knuppeldick (Grosso bastone), Zungenschlag (Schiocco di lingua), Fliegentod (Mosca morta), insieme al bidello Habebald (Trova presto) e agli altri personaggi adulti, dal Pastore Kahlbauch (Pancia pelata) al medico di famiglia Dr. Von Brausepulver (Polverina effervescente). La tragedia si mischia alla farsa nel testo di Wedekind, le scene comiche si alternano a quelle drammatiche e sfumano nel metafisico nella scena finale, quando Melchior incontra il personaggio del Signore mascherato e il fantasma dell’amico suicida Moritz.

Una nuova traduzione

La nuova produzione con la regia di Marco Bernardi, si avvale per i 19 quadri che compongono il dramma espressionista di Frank Wedekind, di una traduzione inedita, commissionata dal Teatro stabile di Bolzano al drammaturgo Roberto Cavosi. Il testo è pubblicato ora in italiano dalla casa editrice Cue Press, dedicata alle arti dello spettacolo [Frank Wedekind, Risveglio di Primavera, ed. Cue Press 2025, € 22,99].

La messa in scena di Risveglio di primavera e la nuova pubblicazione del testo tradotto in italiano sono un progetto di lunga data di Marco Bernardi, di cui il regista amava discutere «nei nostri incontri abituali al caffè dei cinesi in centro a Bolzano», come ha ricordato alla presentazione del libro, con l’amico e appassionato storico del teatro Massimo Bertoldi, prematuramente scomparso pochi mesi fa. Il volume contiene, oltre al testo tradotto da Roberto Cavosi, la prefazione dal titolo L’età ingrata di Marco Bernardi, che ha curato la regia e l’adattamento teatrale dello spettacolo co-prodotto dal Teatro stabile di Bolzano, e un prezioso contributo di Massimo Bertoldi, alla cui memoria il libro è anche dedicato, che ricostruisce minuziosamente la storia della prima scandalosa messa in scena del dramma di Wedekind nel novembre 1906 ai Kammerspiele di Berlino.

Un allestimento originale

In un palco privo o solo scarsamente dotato di elementi scenografici, nello spazio teatrale completamente nero emergono e agiscono via via, scena per scena i diversi personaggi del dramma, quasi fossero fotogrammi impressi su una pellicola. La scelta registica di Marco Bernardi, nella nuova messa in scena di Risveglio di primavera al Teatro studio di Bolzano, risolve il rompicapo drammaturgico della veloce successione dei quadri scenici nel testo di Wedekind, evidenziandone la struttura simile a quella del montaggio cinematografico. E avvicina il testo, già allora rivoluzionario, anche formalmente a un linguaggio moderno contemporaneo. Scelta di fondo, quella di Bernardi di vedere e accentuare i punti comuni e universali delle problematiche esistenziali che accomunano i giovani in tutte le epoche, più che riesumare Wedekind come una semplice testimonianza del momento storico in cui l’autore è vissuto. In questo senso è da leggere anche la colonna sonora dello spettacolo. Il regista Bernardi ha selezionato i brani di musica che introducono le varie scene, scegliendo canzoni di gruppi e singoli interpreti, da Ghali a Olly, Madame o Sfera Ebbasta e altri, ascoltati nei nostri giorni dai giovanissimi. Qualcosa di più che una strategia per avvicinare anche i giovanissimi al teatro, una vicinanza di fondo e un interesse per il mondo giovanile che Marco Bernardi ha dimostrato sempre, e nel caso di questa messa in scena è anche una voluta vicinanza e empatia per l’autore Wedekind, anarcoide e anticonvenzionale nell’opera e nella vita. Un’altra soluzione registica originale rende evidente la distanza insormontabile che divide i giovani dalla generazione dei genitori. Bernardi sottolinea il conflitto generazionale rivestendo tutti i personaggi adulti di maschere che ne coprono il viso e li rendono grotteschi, richiamando l’aspetto farsesco del dramma rivendicato dallo stesso Wedekind. L’ispirazione, nata dalla scoperta di Bernardi del pittore belga James Ensor, un artista contemporaneo di Wedekind che dipinge nei suoi quadri maschere altrettanto misteriose e grottesche, è forse l’elemento più efficace dell’allestimento. La recitazione attraverso le maschere ‘smaschera’ paradossalmente l’ipocrisia del mondo adulto e la falsa morale che le istituzioni vogliono imporre ai giovani, che restano invece senza maschera. Applausi agli interpreti.

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10 Marzo 2025

Cue Press, il coraggio del digitale su un palcoscenico per pochi

Valentina Grignoli, «Rsi — Radiotelevisione Svizzera»

Un progetto visionario ma con i piedi ben saldati per terra. In quella giungla senza pietà che è il panorama editoriale, su un terreno di nicchia e per pochi come può essere il mondo del teatro, nasce, cresce, resiste e vince Cue Press, la prima casa editrice digital first interamente dedicata alle arti dello spettacolo. Fondatore è Mattia Visani, attore e regista dello Stabile di Torino, ultimo autore della Ubulibri, che dalle ceneri dell’opera di Franco Quadri fa rinascere questa nuova fenice, a Bologna.

Cue nel mondo teatrale anglosassone, dove il teatro è un’industria florida a differenza di quanto avviene alle nostre latitudini, è la battuta d’ingresso, il segnale d’entrata, il suggerimento. Da qui partiamo, da un’imbeccata, per raccontare il viaggio di Visani, che grazie alla grande cura per il suo prodotto, all’attenzione per le relazioni umane con gli autori prima che per i libri («siamo come dei bambini che si scambiano figurine insomma»), e grazie al fatto di aver saputo scommettere su nuovi formati e vecchi maestri al contempo, è riuscito a creare una casa editrice indipendente che a oggi conta circa 400 titoli all’attivo, con una settantina di proposte ogni anno, e un vastissimo catalogo articolato da ricche collane.

E qual è questo segnale d’entrata?

«Una coincidenza in questo caso fatale! E lo dico senza la possibilità di essere smentito o sembrare di voler raccontare la vita dei santi. – esclama Mattia Visani. Il giorno stesso in cui uscì il mio libro per Ubu, Franco Quadri è stato male e poi è deceduto». E coi lui la casa editrice, quel capolavoro che ci ha fatto conoscere i migliori testi della drammaturgia contemporanea. «Questo era il nuovo contesto, la principale casa editrice italiana dedicata al cinema e teatro non esisteva più, e allo stesso tempo si iniziavano a immaginare modelli nuovi editoria. Ubu stava in piedi grazie all’autorevolezza del suo editore, tutto girava intorno a lui. Non c’era un modello di business che potesse supportare un progetto di quel tipo. Nessuno poteva colmare il gap che la sua perdita lasciava nel progetto, anche finanziariamente». Siamo alla fine del 2012, i nuovi modelli editoriali puntano al mondo digitale, con successi e insuccessi, e case editrici che continuamente nascono e muoiono, e il mondo della formazione editoriale spinge verso il digitale come promessa di un futuro radioso nell’editoria. Da quella formazione viene l’amico che con Mattia, allora regista allo stabile di Torino, decide di aprirne una. Un’idea nata un giorno passeggiando per le vie di Milano, «quasi un caso indotto dalle circostanze, mai avrei pensato di fare l’editore! Un progetto ben delineato, un modello preciso di business e nessun soldo per iniziare l’attività!». I riscontri sono ottimi in partenza, fioccano premi, il Nico Garrone nel 2015, il premio Hystrio Altre Muse l’anno dopo, la nomina agli Ubu, il Premio della critica dell’Associazione nazionale dei critici di teatro nel 2023, per citarne alcuni. «Un giorno addirittura ne abbiamo vinti due! Questo ci ha fatto capire che l’idea era buona e ci ha spronato ad andare avanti. Dopo quindi anni siamo ancora qui, con inediti di Samuel Beckett e l’opera del premio Nobel Jon Fosse!». Il digitale è stata la scommessa per il successo? No, o meglio, non solo: «Noi cerchiamo di produrre opere che abbiamo un valore intrinseco. A prescindere dal fatto che siano vecchie o nuove, italiane o straniere».

Mattia Visani si occupa a tempo pieno della Cue Press. Ma alle parole è affiancato un preciso progetto grafico: «e questo ci lega molto all’idea originaria di Ubu libri. Fin da subito abbiamo pensato che per poterci distinguere avremmo dovuto avere un’identità, un prodotto riconoscibile e commercializzabile, un progetto grafico all’avanguardia, nuovo definito e curato in ogni dettaglio».
Pare che addirittura James Naramore, autore di Acting in the cinema, abbia dichiarato che la versione italiana del suo libro, tradotta recentemente da Cue Press, fosse la più bella pubblicata finora.

La doppia anima di queste edizioni risiede nel voler raccontare il presente e mantenere vivo il passato. Sia con il digitale che con il cartaceo, «sia per raccontare la necessità di immediatezza produttiva come gancio al presente stesso, che con il recupero di testi di difficile reperibilità fuori catalogo e di immenso valore perché fuori dalle logiche del grande monopolio editoriale italiano. Noi collaboriamo con gli autori, gli artisti, le compagnie, i festival, il cinema e le università. Questo è l’elemento che più mi piace del mio lavoro, il contatto umano. È bello incontrare persone con cui scambiare idee e gusti, con cui divertirsi, condividere interessi».

I libri sono stampati e distribuiti ovunque nella rete libraria, sia quella fisica che digitale, e in più ci sono gli Interactive e-book, «libri interattivi per garantire anche sullo schermo tutta la qualità di un alto standard editoriale, grafico e tipografico».

Le collane spaziano da contemporaneo, classici e teorie, dai materiali (inediti) ai testi. Da Mejerklold a Emanuele Aldovrandi, da Strehler a Sergio Blanco, «ora stiamo traducendo l’opera omina di André Bazin, Giorgio Manganelli, e in uscita c’è un’intervista a Fellini. Ma anche il libro intervista a Ken Loach e la Storia e tecnica della tecnologia cinematografica». Senza dimenticare Lattuada, una nuova traduzione a cura dello Stabile di Bolzano del Risveglio di Primavera di Wedekin, e un libro su Aphra Behn, a cura del Teatro Stabile di Parma. Collaborazioni, visioni, intuizioni, che portano alla ribalta la creatività, la genialità e la ricchezza di un mondo spesso creduto inaccessibile, dai lettori, dagli studiosi e persino dagli autori.

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Michael mann
26 Febbraio 2025

Michael Mann a 360 voci

«Hollywood Party — Rai Radio 3»

Mannhunters. Michael Mann a 360 voci, il grande regista statunitense visto da Alessandro Borri. Heat, Collateral, Manhunter sono solo alcuni titoli di un cineasta che cambiato il modo di intendere il cinema poliziesco, facendone un ibrido di coolness e realismo e influenzando molti autori contemporanei.

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Salveremo il mondo prima dell'alba
19 Febbraio 2025

Disperati e falliti alla ricerca di un nuovo mondo non inquinato da droga e corruzione. Non si fugge da se stessi

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Carrozzeria Orfeo insieme a Teatro Sotterraneo e Kepler 452 sono ormai dei collettivi che si sono imposti all’attenzione della critica e del pubblico per un loro modo di concepire i testi e il linguaggio scenico.

Il mondo a cui attingono è rigorosamente contemporaneo che cercano di rappresentare con un linguaggio brillante, dinamico, come del resto lo è la recitazione, un linguaggio che guarda alla cronaca, senza essere cronachistico.

Debbo confessare che non sempre ricordo i titoli degli spettacoli, a volte troppo lunghi, che rispecchiano la prolissità delle trame che andrebbe un po’ arginata. Quelli di Carrozzeria Orfeo, per la loro continua circuitazione nei teatri italiani, si sono imposti alla nostra memoria anche perché titoli, come Cus Cus Klan, Miracoli metropolitani, Thanks for vaselina, essendo stati pubblicati da Cue Press, possono essere anche letti, benché il teatro non si legga, ma si vede.

Salveremo il mondo, che ho visto al Teatro Masini di Faenza, completamente esaurito, appartiene all’ultima tappa di un percorso della Compagnia che evidenzia uno stile di recitazione e di linguaggio immediatamente riferibile alla idea di teatro che va coltivando, attento alla realtà, senza essere realistico, dato che Gabriele Di Luca crea dei personaggi presi dalla nostra quotidianità sociale e li trasferisce in una dimensione universale. Egli ha immaginato, come un luogo identitario, una clinica di lusso, che non si trova sulla terra, ma nello spazio, su un satellite che lo spettatore vede, come un pianeta azzurro, attraverso un oblò, dove troviamo una umanità allo sbando che ha raggiunto un benessere economico che certamente non basta per essere felici, perché tutti hanno delle dipendenze dalle quali cercano di purificarsi. Non nascondono la loro ricchezza, ma non riescono neanche a nascondere le loro miserie, ben visibili nei comportamenti smodati. Vi troviamo un industriale di farine animali, Sergio Romano, un suo compagno hippy omosessuale, Roberto Serpi, un ricco autore di Fake News, Ivan Zerbinati, un servitore bengalese, Sebastiano Bronzato, una giovane ragazza in un instabile equilibrio a causa di psicofarmaci, Alice Giroldini, un coach, Massimiliano Setti, personaggi che incontriamo giornalmente, in cerca non solo di fare soldi in tutti i modi, leciti e illeciti, ma anche in cerca di salvezza in un altro pianeta non inquinato dal malaffare, dalla corruzione, dalla droga, dalla depressione, dal sesso.

Di Luca porta in scena il fallimento di una generazione, suddita della globalizzazione e del consumismo, alla ricerca di un luogo immaginario o utopistico dove potersi ritrovare, in assenza di affettività, sottoposta alla diversificazione delle patologie. Quanto accade sul palcoscenico rimanda a quanto accade a ciascuno di noi, quando smarrisce la coscienza dell’Essere, per salvaguardare quella dell’Esserci a tutti i costi.

Le intenzioni di Di Luca non sono più quelle di sopprimere le disuguaglianze, visibili nei vari quartieri metropolitani, con i loro bar di periferia, tanto che i suoi personaggi non attraversano la vita, ma ne sono attraversati, con gli eccessi che si alternano con le contraddizioni che non sono quelle di raccontare le loro vite, magari con l’utilizzo del Teatro di Narrazione, quanto quelle di accostarsi alla vita, restituendo al teatro il suo impegno sociale e politico, ricorrendo a una comicità, non sempre lineare, che sfrutta le varie forme della risata, puntando sul grottesco della recitazione, col ricorso, a volte, al turpiloquio e all’alternanza del linguaggio alto con quello basso, quello apparentemente banale, con quello riflessivo.

Sulla scena non troviamo più i fantomatici animali da bar, ma dei ricchi di oggi che vivono la loro fragilità accanto alla decostruzione del proprio essere, decostruzione, non solo esistenziale, perché corrisponde a quella linguistica e a quella frammentaria delle citazioni presenti nel testo.

Successo assicurato.

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17 cavallini
6 Febbraio 2025

Sul mio teatro: disagio e DISintegrazione, Diciassette cavallini e Spam – Pubblicati da Cue Press tre volumi dedicati a Rafael Spregelburd

Valeria Ottolenghi, «Sipario»

Tre volumi Cue che dialogano tra loro, non semplicemente perché sono dello stesso autore, Rafael Spregelburd, ma per l’intima energia che intreccia molteplici fili interni, tra teoria e pratica, riflessioni filosofiche e quotidianità, accogliendo esperienze e aneddoti, in una dialettica che sempre –;anche per il teatro, a cui sempre l’artista argentino ritorna – preferisce la casualità alla causalità, la DISintegrazione alla composizione razionale, il sentimento della catastrofe all’ordine della tragedia, dove ogni elemento va dirigendosi linearmente verso quella fine già predeterminata in ogni passaggio. Quasi una poetica di guerriglia contro una drammaturgia dove ogni parte partecipa al tutto in un organismo chiuso, un equilibrio strutturale, dove ogni situazione (incontro, battuta o ingresso) risulta necessaria all’insieme.

Ma queste tre pubblicazioni, Spam, Sul mio teatro: contagio e DISintegrazione e Diciassette cavallini escono anche in un periodo particolare, poco dopo che Parma ha ospitato, a Teatro Due, per un lungo periodo in residenza, Rafael Spregelburd, presentando al pubblico, alla fine del percorso, tre sue opere, due in castigliano, Pundonor di/con Andrea Garrote, che firma la regia insieme a Spregelburd, il quale, per Inferno, è drammaturgo, regista e attore protagonista, affiancato da diversi interpreti con più ruoli. Il terzo è proprio quel Diciassette cavallini creato con gli attori di Teatro Due, debutto nazionale, un lavoro complesso, assai impegnativo per la recitazione – tutti davvero molto bravi, una straordinario, faticosissimo accordo per uno spettacolo ampio, impegnativo, discontinuo – ora pubblicato da Cue Press.

Ed è di Fondazione Teatro Due, che ha prodotto lo spettacolo, la prefazione, Il Teatro misura di tutte le cose, alla raccolta di saggi, interviste, articoli che ha come sottotitolo Scritti su maiali, tacchini, supereroi e altre bizzarre creature: citando Pinter, Tradimenti, Spregelburd, che va approfondendo in forma labirintica il tema del tempo in Il naso di Giustiniano, sottolinea quanto sia affascinante capovolgerlo per la mente razionale. L’esito? La catastrofe. Scrivendo quindi sia di Inferno che di Diciassette cavallini, dove alcune storie «vanno all’indietro». Questa visione, resa concreta anche fisicamente, si rende esplicita durante lo spettacolo: «la freccia del tempo non si adatta alle nostre intenzioni di retromarcia». Tra le battute si chiede esplicitamente cosa sia il tempo. E: «capiamo come funziona?». Nel saggio Spregelburd ricorda come a teatro lottino «l’effimero e l’eterno», unica situazione dove si possa nascere e morire migliaia di volte, «per questo lo continuiamo a fare. E’ l’unica forma di dominio sul tempo che ci hanno regalato gli dei prima dell’uscita di scena».

«Dietro ogni disintegrazione – spiega l’artista argentino – si nasconde una liberazione che sfocia in forme di vita, di organicità». Questo bisogno di disordine che può produrre senso è rilevabile sia in Spam, una sorta di libro/teatro game per cui si può passare da una situazione all’altra, che nella raccolta dedicata alla teoria, con interventi che non sono in ordine temporale, diversi gli articoli nati nel periodo della pandemia, occasione per riflettere anche sui tentativi di sostituire il teatro (giammai!): «Il tema, la trama, i personaggi stabili e il principio causale non sono altro che i grandi, minuscoli atomi che, nel disintegrarsi, rendono visibile l’invisibile, l’energia vagante fra le parti». Una sorta di opera aperta esagerata, esasperata, dove un ruolo speciale acquista di conseguenza il pubblico, non solo nell’interpretazione dell’opera ma nel creare originali connessioni tra gli elementi narrativi.

Spam – il debutto italiano nel 2013, presentato a Napoli Teatro Festival e al Festival delle Colline Torinesi – è suddiviso in giornate, trentuno, ma, si legge nella nota d’apertura, è importante «che non tutte le scene di quest’opera vengano rappresentate: la forza dell’informazione mancante, erratica e indefinita, dev’essere enorme per riuscire a seguire questa storia»: ancora una volta si chiede la partecipazione vigile, inventiva, degli spettatori invitati così a immaginare nuove connessioni, colmare vuoti, concepire diverse soluzioni di senso? Una visione del teatro in qualche modo affine e opposta all’idea di ‘sottrazione’ di Deluze/Carmelo Bene, dove la mancanza era individuata, avvertita, ‘vissuta’ conoscendo l’intero, opere che pulsano anche per quanto non c’è, in Riccardo III evaporati gran parte dei personaggi, intorno al protagonista solo figure femminili. 

Ritorna Cassandra, un nome «che promette solo notizie spaventose»: in Spam è una studentessa che insiste nel voler ricordare come lui, il protagonista dalla memoria perduta, le abbia rubato il suo studio sugli eschimesi. «Non ricordo niente». E ha con sé il libro di Camus Lo straniero, colmo di smarrimenti, la vita lasciato al caso, comunque assurda, senza senso. Malta, la Cattedrale, Caravaggio. Naturalmente anche nelle pagine di Cue Press le giornate sono pubblicate in forma caotica. Si sperimenta il traduttore di Google. C’è meraviglia per il non senso di alcune affermazioni, come per «Il paradosso del compito a sorpresa». La strana scoperta di possedere milioni euro. E’ possibile trovare, tra l’«immondizia virtuale», le tracce, gli indizi per ridare forma alla propria identità perduta? Ma quelli che sembrano ricordi sono davvero tali? Davvero lui doveva chiamarsi Nicolino come il fratellino mai nato? La sveglia, trentunesimo giorno: «E’ ora di tornare a casa». Teatro e mondo onirico, viaggi in internet e caos del sapere tra schegge di esistenze individuali forse solo sognate. Il titolo della prefazione a Spam di Andrea Ciommiento è «Immondizia virtuale e frammentazione del quotidiano». 

Molto interessante il confronto con il teatro di autonarrazione: scrivendo di Lorena Vega «una delle attrici più amate, più coraggiose, più tenaci in questo momento a Buenos Aires», che racconta in scena di sé, Spregelburd in Sul mio teatro, si trova a riflettere sul questo tipo di esperienze parateatrali. «Io, che milito per la fiction pura, mi arrendo di fronte alle capacità di questa impurità: raccontare la propria vita con l’arte delle fate». Per una particolare serata Lorena Vega invita alcuni artisti a dare anima ad alcune foto di famiglia. Tra questi anche Spregelburd, che dà voce a un’immagine, pubblicata nel testo, lui stesso fermo, abiti invernali, davanti a una casa di campagna, galline sul prato, un albero spoglio. Polonia, isola di Wolin, luogo d’origine del nonno, che era quindi emigrato in Argentina, 1912, a Rosario, morto travolto sotto un treno con il suo carretto di vestiti che vendeva per strada. 

Pure, malgrado quella ‘fiction pura’, negli esercizi che affronta con gli attori molti i passaggi, per giungere anche a un esito di scrittura, che coinvolgono direttamente la singola persona. In Bipedi, dualità e nevrosi sempre collettive, l’autore/attore argentino utilizza quello che lui chiama «sporco trucco», una pratica «che contiene tanto di autobiografia e di pietà per se stessi, quanto di attentato, violenza allontanamento e rottura». E spiega: ci si sdraia su un grande foglio di carta e qualcuno disegna il contorno del corpo: all’interno di tale silhouette si scrive della propria persona, in forma sintetica, brevi frasi, «il primo amore, ferite fisiche e psichiche, momenti di gioia, foto di famiglia, libri letti…». La questione è come rendere graficamente la propria biografia dal momento che non è possibile usare le parole, e in quale posizione disporre i vari elementi: «sulla testa, sulle mani, sul sesso di solito si ammassano, turbolenti, disegni contraddittori». Nascono da tale materiale una serie di monologhi, che poi andranno sviluppandosi in diverse direzioni: è questa un’estrema sintesi di quanto già lo stesso Spregelburd nomina ‘sommariamente’ per illustrare questo particolare percorso creativo.

Anche gli attori di Diciassette cavallini saranno passati attraverso questa forma di «manipolazione dolorosa e ridicola che cerca di comunicare l’incomunicabile ignorando allegramente terapia e psicanalisi»? Nello spettacolo debuttato a Parma ritorna il mito di Cassandra, colei che sa prefigurare le sciagura, condannata a non essere creduta: tante storie s’intrecciano di cui si tendono a collegare gli sviluppi. Perché, malgrado la poetica spregelburdiana esiga una particolare disponibilità percettiva, la mente dello spettatore si è formata su quella drammaturgia dove ogni battuta è necessaria per cogliere gli sviluppi delle diverse narrazioni/azioni sceniche. Ma poi ci si arrende e si accettano i segmenti dispersi di più racconti, salvo poi riprendere a seguire particolari fili che s’immagina si possano tendere tra i diversi personaggi in mezzo a metafore, simboli, oggetti multipli in scena (anche tanti orologi naturalmente): non è così il mondo contemporaneo? Frammenti, cianfrusaglie di notizie, di saperi, di scelte politiche a cui sembra impossibile dare ordine? Verso quale direzione? Davvero pensiamo di poterlo prevedere?

Ancora pensieri di Spregelburd, per l’amato teatro, fors’anche per la vita: «Nella tragedia tutti gli avvenimenti si sviluppano verso il finale. Ma nei sistemi complessi, che a volte chiamiamo ‘catastrofici’, le cose viaggiano in tutte le direzioni. La ragione le ordina verso il finale. Ma ci sono resti di frizioni, viaggi a marcia indietro, collisioni con sistemi circostanti…». Sì, il teatro allora rispecchia davvero la realtà se non è possibile conoscere quanto può accadere. Lo stesso passato si sfalda, memoria disordinata che si ricompone senza verità. Spregelburd riporta una frase di Clarice Lispector: «Vado a creare quello che mi è successo», così per la scrittura, condannata a rielaborare anche le proprie esperienze in forme instabili, precarie, mutevoli.

Collegamenti

Cavezzali
2 Febbraio 2025

Teatro in un volume le storie teatrali di Matteo Cavezzali

«La Piazza Avvenimenti»

I testi della produzione teatrale di Matteo Cavezzali, dal 2009 ad oggi, sono raccolti in un volume appena uscito dal titolo Teatro (Cue Press).

Dalla quarta di copertina «Matteo Cavezzali, uno dei più interessanti autori contemporanei italiani. Tra intensi monologhi, grottesche parodie e audaci riscritture di classici da Shakespeare a Beckett, i personaggi di Cavezzali, con le loro storie e le loro voci riescono ad arrivare al cuore del lettore, delineando un affresco irriverente del nostro tempo».

Cue Press è una casa editrice specializzata in teatro che vanta nel suo catalogo anche testi del Premio Nobel Jon Fosse e le edizioni annotate dei testi del Premio Nobel Samuel Beckett, oltre che diversi drammaturghi italiani e internazionali.

Tra i testi raccolti ci sono Acqua scura sulla alluvione in Romagna, trasmesso anche da Rai Radio3, Il mediano che sfidò il Duce sulla storia di Bruno Neri, calciatore romagnolo della nazionale durante il fascismo e allo stesso tempo partigiano, Dettagli – Tre ritratti di piccole vite testo commissionato dai teatri del Trentino per una speciale esecuzione a teatro chiuso durante il lockdown del 2020, Nonessere reinterpretazione dell’Amleto di Shakespeare in chiave comico-esistenzialista, Mangiare tutto sull’ossessione degli italiani per la cucina, Fuori Fuoco una commedia sulla disoccupazione giovanile, Operazione Atarax testo fantascientifico sul razzismo ambientato in un epoca in cui i ‘diversi’ vengono inviati su Marte con una apposita missione spaziale, Il morbo scritto nel 2010 parla di una misteriosa epidemia giunta dalla Cina che obbliga ad evitare il contatto sociale sembrata a molti un’anticipazione di quello che sarebbe accaduto dieci anni dopo col Covid, La Settimana Rossa sui moti anarchici e rivoluzionari nella Romagna dei primi Novecento e Viva la muerte – 33 regicidi in 33 minuti.

Matteo Cavezzali è scrittore e drammaturgo, nato a Ravenna. Con i suoi romanzi ha vinto il Premio Comisso e il Premio Volponi. Tra i suoi libri Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini (minimum fax 2018), Nero d’inferno (Mondadori 2019), Supercamper. Un viaggio nella saggezza del mondo (Laterza 2021), A morte il tiranno (Harper Collins 2021) e Il labirinto delle nebbie (Mondadori, 2022). È autore di podcast per la Rai e de «Il Tuffo» su Rai Radio3. I suoi testi teatrali sono stati allestiti in Italia e all’estero aggiudicandosi in Gran Bretagna il premio Weya.

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16 Gennaio 2025

Sesso, Sordi e ortaggi. Fellini

Federico Pontiggia, «il Fatto Quotidiano»

Dalla fellatio d’infanzia alla melanzana erotica (e indigesta), dalle catacombe di Roma
all’Oscar cimiteriale, dai seni della Loren alla Masina «poverina»: tutte le prime volte di Fellini. Vengono da Raccontando di me, ovvero Federico Fellini conversa con Costanzo
Costantini, che pubblicato in Francia nel 1996 torna in libreria per i tipi di Cue Press.

Tra il maestro e il giornalista del Messaggero è tutto un fluire di ghiotti aneddoti, confessioni audaci e commenti inesorabili. Con una sensazione ineluttabile: la nostalgia canaglia per un cinema che non è più.

Su Sophia Loren: «Era magra, magrissima, ma aveva un seno fastoso. Come mi giravo, la madre le tirava giù la chiusura lampo della blusa e le faceva esplodere i seni».

Pisello e melanzana

Fellini l’incipit erotico l’ebbe a sei o sette anni, complice una cameriera, Marcella. A letto febbricitante, la domestica gli «sollevò la camiciola, prese il mio pisello fra le mani e se lo mise in bocca». Vi immaginate un regista qui e ora prodursi in un simile ricordo? Non finisce qui: Marcella poi «afferrò un’enorme melanzana e se la infilò tra le cosce, facendo avanti e indietro con la mano». Addio parmigiana: «Da allora non ho mai potuto mangiare le melanzane».

Flirt al balcone

Il primo fu al liceo, «un flirt a distanza, visivo». Federico si innamorò della «signora delle ore 11», una bellissima donna che apriva le persiane e appariva in vestaglia dirimpetto all’istituto. Il climax, talvolta condiviso dal professore di matematica, quando si chinava per dar l’acqua ai fiori: «La vestaglia le si apriva un po’ sul seno. Aspettavamo quel momento dalle otto e mezza».

Primo amore

Una bella ragazzina, Bianchina Soriani, che – commenta Costantini – diviene «un mito, come la Silvia di Leopardi». Federico non smobilita: «L’amore per quella delizia lo esprimevo con degli scarabocchi», ispirati ai fidanzatini di Peynet.

Esordio capitale

A Roma la prima volta nel 1933 e nel 1934 con il padre: uno dei fratelli della madre romana lo porta in giro in macchina. Fellini si sente «come a scuola, frastornato da quella girandola di colonne e di statue, di rovine imponenti». C’è anche l’intervallo, fuori programma: «Alle catacombe di San Callisto mi spersi». Le guide gridavano «Ragazzo riminese sperduto nelle catacombe»: quindici minuti di incubo – e avvisaglia di celebrità?

Giulietta del destino

Il rendez-vous al ristorante, Castaldi in piazza Poli; a fine pranzo – rammentava Masina – Fellini trasse dalle tasche «tanti soldi da lasciarla sbalordita». Federico abbozza, «Giulietta forse esagera », e assevera: «Era la donna del mio destino. Sono arrivato a pensare che il nostro rapporto preesistesse addirittura al giorno in cui ci incontrammo per la prima volta».

Seni del varietà

La prima regia, a quattr’occhi con Alberto Lattuada, fu Luci del varietà nel 1950. Non andò benissimo, ché «faceva tutto Lattuada» e il botteghino non premiò: «Stiamo ancora pagando le cambiali». Fellini si consolò al provino con Sophia Loren, all’epoca Sofia Lazzaro: «Era magra, magrissima, ma aveva un seno fastoso. Come io mi giravo un po’, la madre le tirava giù la chiusura lampo della blusa e le faceva esplodere i seni».

Fischi per Sordi

Lo sceicco bianco al Festival di Venezia nel 1952: stroncature feroci, fischi a scena aperta, «il film venne distrutto, cancellato nella sua esistenza». Il peggio era da venire: il pubblico si rifiutò di vederlo, perché detestava Alberto Sordi, «non tollerava la sua impudenza, odiava la vocina da seminarista in quel corpo greve, con quel culone».

La strada agli Oscar

Il primo Academy Award, le prove al Chinese Theatre, Federico, Giulietta, Anthony Quinn e Dino De Laurentiis tra divi e divine: Liz Taylor con diadema regale alla Nefertiti, toilettes scintillanti, sicché Masina, in giacca di ermellino su abitino di tulle, «sembrava una poverina capitata lì per caso». Fellini non la risparmia: «Molti credevano che l’avessi presa davvero da un circo».

Cenere di stelle

Fellini – il 20 gennaio cade il centocinquesimo anniversario della nascita – ebbe un Academy Award alla carriera nel 1993 e quattro film giudicati i migliori in lingua straniera (il già citato La strada, Le notti di Cabiria, e Amarcord ), ma ancor più consapevolezza di che fosse l’Oscar, «il cinema che s’incontra con sé stesso nel tentativo di resuscitare i morti, esorcizzare le rughe, la vecchiaia, la malattia e la fine». Già, «la caricatura del Giudizio universale», eppure Federico non poteva rifiutarlo né contestarlo, perché «il cinema è anche circo, carnevale, luna park, giostra, gioco di saltimbanchi». E chi meglio di Fellini?

1 Marzo 2024

Ecco i primi titoli della Cue Press

Federico Platania, «SamuelBeckett.it»

Dopo essere stati annunciati, ecco i nuovi titoli pubblicati dalla casa editrice Cue Press che porta per la prima volta in Italia alcuni importanti saggi critici dedicati a Samuel Beckett, insieme alla ri-edizione dell’unica biografia autorizzata dello scrittore, Condannato alla fama di James Knowlson, pubblicata per la prima volta nel nostro paese da Einaudi, ma […]
18 Febbraio 2024

Il problema delle origini, tra miti greci e miti o...

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Il primo libro che lessi di Antonio Attisani fu Teatro come differenza, edito da Feltrinelli nel 1968, contemporaneo del mio Teatro a Milano 1968-78. Il Pier Lombardo e altri spazi alternativi, edito da Mursia. Entrambi cercavamo un teatro che si differenziasse da quello istituzionale, diventato, malgrado tutto, un teatro che ammiccava ad operazioni di tipo […]
15 Febbraio 2024

Carrozzeria Orfeo, quindici anni di successi ben c...

Andrea Malosio, «Hystrio», XXXVII-2

Quindici anni, un tranche de vie significativo per un’impresa, sufficiente a fare una storia. Per Carrozzeria Orfeo, compagnia itinerante, nata dall’incontro casuale nelle sale prova d’accademia, questi quindici anni sono stati il principio, la crescita, il consolidarsi di un progetto artistico e imprenditoriale ben raccontato in questo volume edito da Cue Press e scritto dal […]
13 Febbraio 2024

Per una sociologia di Stranger Things

Ludovico Cantisani, «ODG Magazine»

La casa editrice Cue Press di Bologna ha dato di recente alle stampe il volume collettivo I segreti di Stranger Things, raccolta eterogenea di saggi a cura di Kevin Wetmore jr., professore di teatro e cinema in Marymount. Sin dal sottotitolo del libro – Nostalgia degli anni Ottanta, cinismo e innocenza – si intuiscono alcune […]
10 Febbraio 2024

Samuel Beckett, un vademecum per affrontarlo

Michele Casella, «la Repubblica»

Entrare nelle opere di Samuel Beckett, autore ‘assurdo’ per antonomasia, precursore di una visione artistica omnicomprensiva, deve essere stato facile per Enzo Mansueto. Perché il lavoro di sottrazione continua che caratterizza il ‘non’ stile dell’autore irlandese si sovrappone al calibratissimo senso ritmico nell’uso della parola. Questa familiarità col ritmo Enzo Mansueto di sicuro la possiede, […]
6 Febbraio 2024

Ruby Cohn — Beckett: un canone. Intervista a Enz...

Sergio Rotino, «Satisfiction»

Erano decenni che in Italia non si vedeva una simile attenzione verso l’opera di uno dei più grandi geni letterari che abbia prodotto il Novecento. Si vede che finalmente era tempo di dare a Cesare quanto gli spettava, quindi a Samuel Beckett quel che è di Samuel Beckett. E se il Meridiano mondadoriano, Romanzi, teatro […]
3 Febbraio 2024

Intervista di Mario Mattia Giorgetti a Gigi Giacob...

Mario Mattia Giorgetti, «Sipario»

Gigi Giacobbe da oltre undici anni collabora alla rivista «Sipario», e puntualmente ad ogni stagione segue spettacoli in Sicilia e in varie città d’Italia compresi i Festival che vengono proposti. Quando scopri il regista Bob Wilson e quale è stato il primo spettacolo che hai visto? Bob Wilson non è solo un regista ma un […]
31 Gennaio 2024

Un estratto dalla prefazione «Faceva freddo a Par...

Enzo Mansueto, «Corriere del Mezzogiorno»

Quella del 5 gennaio 1953 fu una serata fredda, a Parigi. Questo, almeno, è ciò che riferiscono le memorie di chi c’era, nonché qualche vecchio giornale, oltre ai registri meteorologici. La mattina del nuovo anno la città s’era risvegliata sotto un inusuale manto di neve, a seguito di una tempesta che aveva spazzato il nord-ovest […]
30 Gennaio 2024

Intervista a Gabriele Frasca

Matteo Marelli, «Film TV», XXXII-5

L’occasione di dedicarci a Samuel Beckett e di confrontarci con Gabriele Frasca, poeta, massimo studioso italiano, curatore e traduttore del recentissimo Meridiano dedicato all’autore (Beckett – Romanzi, teatro e televisione), ci è offerta dall’uscita in sala di Prima danza poi pensa – Alla ricerca di Beckett, fantasioso biopic di James Marsh. «Fantasioso» perché il film […]
30 Gennaio 2024

Silenzio si legge!

Roy Menarini, «Film TV», XXXII-5

Con un po’ di cinismo si potrebbe dire che, in tempo di vacche magre per le serie tv, quelle culturalmente rilevanti si riconoscono perché meritano un libro. Stranger Things è una di queste e il densissimo volume internazionale a più voci, appena tradotto in italiano da Ludovica Peruzzi ed Elisa Pezzotta, esplora l’universo dei fratelli […]
24 Gennaio 2024

Juan Mayorga, Ellissi. Saggi 1990-2022, a cura di...

Veronica Orazi, «Artifara»

Il volume raccoglie conferenze, articoli, riflessioni e recensioni del drammaturgo Juan Mayorga, figura di assoluto rilievo nel panorama spagnolo attuale, come sottolinea in apertura del volume Enrico Di Pastena, nella sua introduzione Un drammaturgo filosofo per uno spettatore critico (pp. 10-19). Il titolo scelto dall’autore rimanda ai due elementi chiave della sua formazione e dei […]
22 Gennaio 2024

Beckett, il genio che spaventa

Sandra Petrignani, «Il Foglio»

Samuel Beckett morì il 22 dicembre 1989 a ottantaquattro anni non ancora compiuti (era nato nell’aprile del 1906) e fu sepolto al cimitero di Montparnasse, il quartiere parigino dove viveva, accanto alla moglie Suzanne Deschevaux-Dumesnil, morta cinque mesi prima. La sua tomba fu per settimane ricoperta di fiori e biglietti improvvisati in tante lingue diverse […]
19 Gennaio 2024

«Il cinema, questione di vita o di morte: spezzai...

Bernardo Bertolucci, «Il Fatto Quotidiano»

Anticipiamo stralci di Scene madri, il memoir di Bernardo Bertolucci con Enzo Ungari, in libreria con Cue Press. «Vorrei poter parlare di cinema senza paura di raccontare aneddoti, usando molto la prima persona, senza vergogna e con molto affetto per qualche non sense a cui sono affezionato. So che la cosa può risultare oltraggiosa, perché […]
15 Gennaio 2024

Con Jon Fosse, dentro quel buio luminoso

Roberto Canziani, «Hystrio», XXXVII-1

Ne hanno parlato così tanto i giornali, che era poi logico veder schizzare Jon Fosse, Premio Nobel 2023 per la letteratura, nei posti alti delle classifiche nelle librerie. Alti se confrontati con lo spazio residuo che il teatro occupa oggi nell’editoria italiana. Ha fatto quindi bene Cue Press a rimettere velocemente in circolazione tre lavori […]
15 Gennaio 2024

Sulle strade d’Europa in cerca dei Maestri

Ilaria Angelone, «Hystrio», XXXVII-1

Più libri convivono in Strade maestre, road book scritto in tempi di pandemia, quando la disperazione era sempre dietro l’angolo e si sentiva il bisogno di ancorarsi. Nove personalità del teatro europeo, nove ‘Maestri’ riconosciuti come tali dai due autori, sono i protagonisti di altrettanti incontri avvenuti da Berlino a Parigi, da Losanna a Palermo. […]
15 Gennaio 2024

Teatro, un concetto plurale: riflessioni post-pand...

Diego Vincenti, «Hystrio», XXXVII-1

Arriva forse con un pizzico di ritardo questa versione italiana di Why Theatre?, progetto nato in tempi di pandemia all’interno di NTGent. Un’idea di Milo Rau che già nei primissimi mesi di lockdown, volle interrogare se stesso e i suoi colleghi sulla matrice originaria, le ragioni profonde, l’urgenza esponenziale del fare teatro. Una domanda rimasta […]
15 Gennaio 2024

Scritti sul teatro di Fadini

Andrea Bisicchia, «Il Mondo»

Non c’è dubbio che, per chi scrive per un giornale, debba rispondere alla ideologia del proprietario, e non c’è dubbio che, quando si è intervistati da una testata, di destra o di sinistra, bisogna, in parte, concedere qualcosa in cambio, per dare un senso di parte al titolo dell’articolo. Per quanto riguarda la figura del […]
15 Gennaio 2024

Grotowski e il suo «teatro povero», definito anc...

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Tra il 1965 e il 1975, il teatro internazionale ha vissuto e ha fatto vivere uno dei momenti più straordinari e irripetibili. Parecchi di noi ricordano ancora, avendoci fatto provare delle emozioni, fino alla commozione, Il Principe Costante di Grotowski, I giganti della montagna di Strehler, Orlando furioso di Ronconi, La Trilogia Testoriana di Andrée […]
10 Gennaio 2024

Theodoros Terzopoulos: Scena, mondo infinito

Valeria Ottolenghi, «Gazzetta di Parma»

Theodoros Terzopoulos: era stato Michalis Traitsis, regista di valore che lavora tra Venezia e Ferrara, a raccontare, durante un incontro di studiosi diversi anni fa, di questo maestro/artista greco riconosciuto tra i più grandi d’Europa. Come spesso accade in tali situazioni si avverte un senso di disagio per quelle lacune che sembrano non permettere un’adeguata […]
22 Dicembre 2023

Una rosa per Sam

Antonio Borriello, «SamuelBeckett.it»

Una rosa per ricordare il mio amatissimo Samuel Beckett, morto il 22 dicembre del 1989 a Parigi, premio Nobel per la Letteratura nel 1969. Autore di opere ritenute ormai dei classici come Aspettando Godot e Finale di partita, mutò l’ordinario in straordinario, il Nulla e l’Attesa in Speranza. Oggi più che mai il grande dubliner […]
3 Dicembre 2023

Parla il silenzio – Il suo teatro delle vite...

Laura Zangarini, «Corriere della Sera»

Il Nobel, assegnato a Jon Fosse per le sue «opere teatrali innovative e per la prosa che danno voce all’indicibile», corona una carriera straordinariamente produttiva e pluripremiata: 40 opere teatrali, romanzi, racconti, libri per bambini, poesie e saggi. Lo stile minimalista di Fosse è spesso paragonato a quello di Samuel Beckett (1906-1989), verso il quale […]